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Approdata alla Camera lo scorso 24 luglio e subito rinviata a settembre, la discussione parlamentare sulla proposta di liberalizzazione delle droghe leggere ha immediatamente acceso il dibattito pubblico. Tra informazioni scorrette, antiche credenze ed autentiche menzogne, cerchiamo di sfatare alcuni miti sull’uso della cannabis.

Immagine tratta dal sito http://freeweed.it/

La cannabis fa male?
Come per tutte le sostanze, occorre valutare quantità di assunzione e uso nel tempo. In relazione alla variabile temporale, il principio attivo dalla cannabis, ovvero il delta-9-tetraidrocannabinolo (in sigla THC) provoca una serie di effetti acuti, ovvero a breve termine, quali arrossamento oculare, tachicardia, modificazioni dell’umore (euforia o depressione), difficoltà di coordinazione motoria, perdita di concentrazione, appetito, distorsioni percettive. Questi effetti sono tutti transitori proprio perché legati ad un uso occasionale della sostanza.
Vediamo ora quali sono invece gli effetti cronici, a lungo termine, dovuti ad un consumo prolungato o ad un vero e proprio abuso (oltre 20 volte al mese). Nel corso degli anni, soprattutto da quando il consumo di cannabis a scopo ricreativo nel mondo occidentale ha preso ad aumentare (“il 42% delle persone ha consumato cannabis almeno una volta nella propria vita” 2012, Danovitch et al), gli studi si sono concentrati sulla valutazione dei possibili cambiamenti nelle performance intellettive e di memoria. I risultati emersi, da studi su cavie animali o su gruppi di individui non sufficientemente eterogenei, non hanno condotto ad alcuna differenza statisticamente rilevante tra consumatori e non. Discorso diverso per quanto riguarda invece la correlazione tra consumo cronico della sostanza, soprattutto se iniziato in età adolescenziale, e rischio di sviluppare malattie mentali. Particolarmente significativo è il caso dello sviluppo di psicosi; il consumo continuativo di cannabis non sarebbe di per sé necessario o sufficiente per l’insorgenza della patologia, ma rappresenterebbe un fattore di rischio in presenza di altri fattori, come la predisposizione genetica o l’esposizione ambientale ad altri stress, come traumi infantili (Asian Journal of Psychiatry, 2013). Ciò spinge inequivocabilmente a sconsigliarne fortemente il consumo, soprattutto in età giovanile, a soggetti con predisposizione familiare per malattie mentali come questa o come la sindrome bipolare.
Per quanto concerne invece altre patologie, sono emerse alcune correlazioni tra il fumo di cannabis e l’insorgenza di patologie respiratorie, cancro ai polmoni, a collo e testa, ma queste sono molto probabilmente legate alla coesistenza nelle sigarette delle stesse sostanze cancerogene presenti nel tabacco (The Journal of Clinical Pharmacology, 2002). Inoltre, l’uso di cannabis è assolutamente sconsigliato nelle donne in gravidanza a causa del rischio, accertato in cavie animali, di deficit cognitivi e di crescita in generale del feto (International Journal of Endocrinology, 2013).

Occorre specificare che le conoscenze circa la maggior parte degli effetti generali dell’uso di cannabis derivano da studi farmacologici sugli effetti benefici della sostanza. Infatti, a differenza di altre sostanze stupefacenti o da abuso, la cannabis risulta essere utilizzabile, in ordine di efficacia, contro il dolore cronico e spastico, contro la nausea durante la chemioterapia, per l’aumento di peso (grazie alla già citata capacità di indurre appetito) in soggetti affetti da HIV, contro la sindrome di Tourettes e l’insonnia (The Journal of American Health Association, 2015). Nulla a che vedere, tanto per intenderci, con i limitati effetti benefici del consumo di alcol, relativi peraltro soltanto al consumo di vino rosso per via del suo contenuto in resveratrolo, un antiossidante.

E’ proprio il paragone con una sostanza di largo, antico e tradizionale consumo come l’alcol che può aiutarci, di qui in avanti, ad interpretare e a decontestualizzare l’uso della cannabis.

La cannabis uccide?
Non è mai stato riportato alcun caso di decesso per intossicazione acuta da THC (The British Journal of Psychiatry, 2001). Ciò perché la “dose letale” è molto elevata: essa corrisponde ad oltre un grammo di THC, assunta per via orale, per kg di peso corporeo. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la quantità media di cannabis per spinello varia tra 0,5 e 1g; di questa, dopo la combustione, solo una quota minima, tra il 5 ed il 25%, raggiungerà il circolo sanguigno. A conti fatti, per un adulto di 70kg, occorrerebbero almeno 280 canne per raggiungere la dose letale! I veri rischi a breve termine derivano piuttosto dagli effetti sul sistema motorio, paragonabili però a quelli del consumo di alcol, se ci si mette alla guida di un veicolo. Tra le due sostanze, in acuto, intercorre una differenza abissale: la dose letale per l’alcol equivale a 4-5g/l, quindi, per un individuo di sesso maschile di 70kg, basterebbero una dozzina di bicchieri di vino a stomaco vuoto per superare quantomeno la soglia per il coma etilico.

Questa enorme differenza riguarda chiaramente gli effetti, ben più vasti e dannosi, che una sostanza legale e moralmente accettata come l’alcol ha, soprattutto su fegato e sistema cardiovascolare, rispetto alla cannabis, sia sul breve che sul lungo periodo. Queste considerazioni ci permettono di introdurre un importante e noto grafico, pubblicato dalla rivista scientifica Lancet, che, combinando i rischi relativi a danni fisici con quelli relativi allo sviluppo di dipendenza, stima la nocività di una sostanza.

scala Lancet

Come si può vedere, sia l’alcol che il tabacco si trovano ben più in alto, in questa scala del rischio, rispetto alla ben più innocua cannabis. Questo ci consente di rispondere anche alla successiva domanda.

La cannabis provoca dipendenza?
A dispetto delle conoscenze del più recente passato, è oggi possibile affermare che la cannabis provoca dipendenza. La distinzione tra dipendenza fisica e psichica in questo caso rispecchia esclusivamente il tipo di approccio terapeutico che si ha nel tentativo di vincere la dipendenza. Secondo i Centri di Monitoraggio Antidroga europei e statunitensi, la cannabis è la principale droga consumata in assoluto e soprattutto tra giovani e giovanissimi. L’incremento maggiore che si è avuto negli ultimi anni ha determinato un conseguente aumento delle richieste di aiuto per “smettere”.

cann

 

 

 

Grafico in cui appare chiaro l’incremento di richieste di trattamento per abuso di cannabis nel recente passato (fonte)

 

 

 

Circa il 9% dei consumatori abituali di cannabis sviluppa una forma di dipendenza; questo dato è dovuto in larga parte a predisposizioni genetiche e, chiaramente, alle modificazioni transitorie, a livello del sistema nervoso centrale, che induce il consumo di cannabis. Fino al 2014 la terapia non prevedeva che psicoterapia; sono in corso studi sperimentali sull’uso di farmaci.

Se la risposta non può che essere netta, a scanso di equivoci corre l’obbligo di specificare come il rischio di sviluppare dipendenza sia decisamente lieve rispetto a sostanze legali come alcol (rischio moderato) o, peggio, nicotina (lieve-moderato per la dipendenza fisica, moderato-alto per quella psicologica). Inoltre è utile introdurre il concetto di addiction, ossia di una ricerca compulsiva dello “stimolo per la ricompensa” a dispetto delle conseguenze avverse. (Dialogues in clinical neuroscience, 2013); in altre parole, è la misura dell’impegno con cui un tossicodipendente, ma anche un ludopatico, è spinto a ricercare la sua fonte di piacere. In base a questo principio, i consumatori di cannabis sono poco addicted, ovvero il loro impulso a far uso della sostanza è basso; per i consumatori di alcol, questo stimolo è moderato ed arriva a coinvolgere il 15% della categoria di bevitori. Ben più forte l’addiction per i fumatori di tabacco: la nicotina procura una forte dipendenza, come evidente nella schema, sempre tratto dal Lancet, in cui il tabacco è appena un gradino sotto alla cocaina ed alla eroina per questo parametro.

dipendenza

La cannabis è una droga di transizione verso altri tipi di sostanze da abuso?
Anche la “teoria della transizione” o gateway drug theory pare trovare delle evidenze statistiche negli uomini e sperimentali nelle cavie. Infatti le modificazioni a lungo termine sul sistema nervoso centrale del consumo intensivo di cannabis potrebbe predisporre al consumo cronico di altre droghe, soprattutto se la prima “dipendenza” prende piede durante l’adolescenza. A supportare questa tesi esistono studi che correlano statisticamente l’uso intensivo di cannabis con quello, a distanza di tre anni, di alcol (Drug and Alcohol Dependence, 2016), così come altri che correlano anche il tabagismo con la maggiore predisposizione all’uso cronico di cannabis e cocaina (American Public Health Association, 2016). Vasti studi metanalisi (sintesi di più studi sullo stesso argomento n.d.r.) indicherebbero invece predisposizioni genetiche che spingerebbero a passare da una sostanza da abuso ad un’altra (Translational Psychiatry, 2016). Su questo aspetto, più che sugli altri trattati finora, è in corso un ampio ed acceso dibattito nella comunità scientifica, come si può evincere dalle date di pubblicazioni degli studi, tutti relativi all’anno corrente.

In conclusione, ciò che emerge con un certo grado di chiarezza è che nel complesso, rispetto ad altre sostanze legali come alcol e nicotina, la cannabis non ha effetti marcatamente più negativi, né in termini di danni sul breve periodo, né sul lungo periodo, né dal punto di vista del rischio di mortalità, né di dipendenza, né in qualità di presunta droga di transizione.
Intelligenti pauca.

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