tesmoforie
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Proto-femminista o velatamente misogino? Partigiano dell’affrancamento femminile da una condizione di subalternità o sapiente dissimulatore della sua opinione reale sulle donne? Fautore della ginecocrazia o accorto sostenitore dello “status quo”, ovvero di una architettura sociale  in cui il ruolo femminile, nell’ Atene del suo tempo, era fondamentalmente di (s)-oggetto sessuale il cui destino era quello di sposarsi, di mettere al mondo dei figli e di occuparsi del buon andamento della casa, organizzando le cerimonie familiari e i banchetti a cui non prendeva parte, ritirandosi a tessere e a filare nel gineceo?

Qual era la reale opinione di Aristofane  in merito al ruolo sociale che spettava alle donne ?

Cerchiamo di inferirlo attraverso l’analisi di qualcuna delle sue commedie in cui sono protagoniste le donne:  Le donne al Parlamento, Le Donne alle Tesmoforie e la Lisistrata.

Tutte e tre si prestano a delle letture ambivalenti in merito alla figura femminile ed evocano temi di stretta attualità socio-politica : dalla richiesta da parte delle donne, di una loro maggiore presenza nei ruoli chiave del potere politico-economico ( quote rosa anche allora?)  ad una orgogliosa rivendicazione di una pressochè  totale libertà di costumi sessuali,  al rifiuto di ogni guerra ( “bella matribus detestata” diceva Orazio nelle Odi). Aristofane femminista ante-litteram? Non direi proprio, sebbene tale lettura delle sue commedie sia stata quella maggiormente veicolata e sponsorizzata.
Ma vediamo brevemente la trama di ognuna delle prime due commedie.
Le Donne al Parlamento è una commedia andata in scena per la prima volta ad Atene nel 391 a.C. Narra di un gruppo di donne, con a capo Prassagora, che tentano di persuadere gli uomini a dar loro il controllo governativo di Atene perché convinte di essere in grado di governare meglio di loro, che stanno invece portando la città alla rovina. Così, travestite da uomini, si insinuano nell’assemblea e votano il provvedimento, riuscendo persino a convincere alcuni uomini a votare a favore. Una volta al potere, le donne deliberano “ipso facto” che tutti i possedimenti e il denaro vengano messi in comune per essere amministrati saggiamente dalle donne. Tale deliberazione riguarda i rapporti sessuali: le donne potranno andare a letto e fare figli con chiunque esse decidano. Tuttavia, siccome le persone fisicamente belle potrebbero essere favorite in relazione a tale scelta, si decide anche che ogni uomo, prima di andare con una donna bella, sia tenuto ad andare con quelle brutte, e viceversa. Tuttavia, si viene in tal modo a creare una situazione assurda, paradossale e comica : verso la fine della commedia, un giovane confuso e spaventato si ritrova conteso fra tre ripugnanti megere che litigano per assicurarsi i suoi favori e le sue grazie.

Più articolata, ma ugualmente spassosa sul piano dell’intreccio teatrale partorito dalla fantasia aristofanea, è la commedia “Le donne alle Tesmoforie”, antecedente, poiché del 411 a.C, alle “Donne al Parlamento”.
La scena è ambientata ad Atene, durante il secondo giorno delle Tesmoforie, una festa riservata alle donne e dedicata alle dee Demetra e Persefone (madre e figlia).Nell’opera appare anche il tragediografo Euripide, molto conosciuto a quel tempo. Il quale Euripide, nella finzione teatrale, temendo che le donne, riunite in occasione della festa, stiano tramando una ritorsione contro di lui, colpevole di averle messe in cattiva luce nelle sue tragedie, pensa di correre ai ripari chiedendo all’effeminato poeta Agatone di prendere le sue difese presenziando, travestito da donna, all’assemblea delle Tesmoforie. Dopo il rifiuto di questi, chiede ( e riceve) la disponibilità  a difenderlo nel consesso muliebre, del parente Mnesiloco che, lisciato come una donna e  vestito con abiti femminili prestati da Agatone, prenderà parte alla vivace assemblea delle donne.

. Di fronte all’ipotesi, emersa nell’Assemblea delle bellicose ed infervorate donne, , di un’eliminazione fisica di Euripide, Mnesiloco perora la difesa del tragediografo sostenendo che i suoi strali erano indirizzati a colpire le sole eroine del mito senza voler affatto stigmatizzare il comportamento delle donne moderne che, come incautamente afferma l’improvvisato avvocato difensore, non è certo da considerarsi impeccabile.

Tale affermazione esemplificata con racconti di infedeltà e scaltrezza femminile, si rivela un boomerang e fa degenerare l’assemblea in una rissa fino alla smascheramento e alla cattura del povero Mnesiloco che solo dopo molti maldestri tentativi di fuga, riuscirà a farla franca e a salvarsi dalla furia femminile.

Ora, a ben guardare, Aristofane attribuisce ad Euripide la denuncia di malefatte che raramente il tragediografo aveva esposto nella sua opera. Si assiste perciò ad un’affannosa, incalzante elencazione di attributi ingiuriosi verso le donne , che ricalcano un “topos” spesso (anche ai nostri giorni) molto abusato (ovviamente nell’universo maschile): ovvero quello delle donne adultere, ninfomani e capaci di ingannare i mariti.

Come si legge nell’introduzione ( a cura di Carlo Prato) della bellissima edizione delle “Donne alle Tesmoforie” della Fondazione Lorenzo Valla “in una manifestazione religiosa, patrocinata dalle donne e che esaltava i valori della castità, del matrimonio e della maternità, Aristofane si compiace, da consumato attore di teatro, di soffermarsi su fatti o aspetti della vita quotidiana dove questi valori sono maliziosamente presentati al rovescio e ridicolizzati”. Qualche breve passo dell’opera è molto didascalico al riguardo : “Tra le donne di oggi una Penelope non la trovi, sono Fedre tutte quante “ o ancora “ Che senso ha continuare ad accusarlo (Euripide n.d.r) e a sentirci offese, perché ha raccontato due o tre delle nostre malefatte? Lui sa bene che ne combiniamo a migliaia” afferma il parente, travestito da donna, perorando la causa di Euripide. E in un altro passo “ ..Queste cose, vedete, Euripide non le ha dette mai. E non va a dire che, in mancanza d’altro, ci facciamo sbattere dai servi e dagli stallieri; e neppure che, quando di notte ne abbiamo fatte di tutte con qualcuno, la mattina mastichiamo dell’aglio – così che il marito di ritorno dalla guardia sente l’odore, e non sospetta nulla di male”.

Sembra quindi che Aristofane si serva della figura di Euripide come “alter ego”, come rappresentante cioè,  nella finzione scenica,  della sua visione ambivalente  sulle donne del suo tempo. Forse una lettura forzata, la mia, ma non necessariamente o non del tutto fuorviante.

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