gabbiano spiaggiato
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Gradito ritorno a Primavera dei Teatri della compagnia Òyes con una efficace rilettura di Cechov. Io non sono un gabbiano si pone nella scia di Vania (PdT 2016) e indaga ancora, a fondo, nella natura umana, scandaglia i legami che limitano l’indipendenza, rilegge le dinamiche che orientano le scelte. Così come in Vania, in questo nuovo spettacolo tante vite si intrecciano, con tale forza da non distinguere più dove finisca una e inizi l’altra, e inevitabilmente si influenzano e si stravolgono, a volte senza che i protagonisti se ne rendano conto.
Io non sono un gabbiano prende le mosse dal funerale della madre di Kostjia, brillante attrice ma opaca madre, che permea di sé la scena anche ora, mentre il figlio e gli altri comprimari della sua vita cercano di ritagliarsi un istante di gloria all’ombra di tanta grandezza. Kostjia cerca ossessivamente una forma nuova per esprimere il suo dolore, mentre gli altri lo guardano attoniti e gli ricordano che “questo è un funerale, non siamo a teatro”. Ma siamo sicuri che sia proprio così? In realtà ognuno di loro recita una parte, portando la vita in teatro e il teatro nella vita, con una sovrapposizione di piani che stravolge ogni dinamica interpersonale e affonda tutti nel teatro dentro il teatro, nella necessità di dimostrare il proprio talento, nella ricerca ossessiva di nuove forme di espressione che nessuno ha mai osato sfiorare prima. Le esagerate esternazioni di Kostjia, le sue minacce di suicidio, provocano voci di dissenso, eppure è l’unico che cerca, seppur maldestramente, di liberarsi dal giogo che lo imprigiona. I suoi gesti estremi sono il tentativo di non seguire il copione che la vita gli impone, di scrivere da sé la sua parte. E allora si mette a nudo, letteralmente, insegue contro ogni ragionevolezza il suo sogno d’amore, respinge crudelmente chi lo ama, denigra chi gli ha dato la vita e il posto nel mondo, un mondo che lo attrae e lo ripugna allo stesso tempo.

oyes gabbiano

In Vania si cercava scampo alla prigionia scandita dal respiratore del malato sognando una fuga in terre lontane, ma la melma vischiosa delle convenzioni sociali e dei ricatti degli affetti rende possibile la libertà solo attraverso la morte, la propria. Qui il senso di costrizione è più rarefatto eppure sempre presente; apparentemente ognuno ha un po’ di felicità, un po’ di libertà per inseguire i propri sogni. Un po’… Ma la felicità non può essere quantificabile, la libertà non può essere a termine, accontentarsi del proprio ruolo imposto è morire ogni giorno, senza accorgersene. Il risultato è che tutti sono infelici, mentre ballano “Felicità” di Al Bano e Romina, convinti di essere vivi, ma invidiando colui che non sapeva di essere morto da un anno. E Kostjia ha ancora in mano la sua pistola… la userà o tornerà nel ruolo prestabilito? Intanto la canzone va…
Ottima prova corale, com’è nello spirito e nel talento della Compagnia Òyes, dentro cui ogni attore brilla di luce propria, ciascuno illuminato dalla regia di Stefano Cordella, raffinata e salda.
Di questo teatro c’è bisogno.

Gaetana Evangelista

 

stefano cordella

Primavera dei Teatri
3 giugno 2017 / Teatro Vittoria

Compagnia Òyes

IO NON SONO UN GABBIANO (90’) – prima nazionale

con Camilla Pistorello, Camilla Violante Scheller, Francesco Meola, Umberto Terruso, Dario Merlini, Dario Sansalone, Fabio Zulli, Daniele Crasti
assistente alla regia Noemi Radice
ideazione e regia Stefano Cordella


*La foto del gabbiano è di Stefano Pavone

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