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“Draco dormiens nunquam titillandus”
(motto di Hogwarts)

 

Cosa serve per scrivere un buon fantasy? Una grande fantasia, certo. L’utilizzo di creature leggendarie come draghi o centauri, anche. La magia o il sovrannaturale, quelli non possono mancare. Può bastare? No, certo che no. La fantasia deve essere in qualche modo imbrigliata, deve seguire una logica, altrimenti diventa esercizio di stile fine a se stesso. Le creature leggendarie devono essere trattate con attenzione e rispetto, ma anche innovate, altrimenti è mera riproposizione di cose già scritte e lette. La magia o il sovrannaturale bisogna calibrarli bene, il rischio è il ridicolo involontario (chi ha detto Twilight?).

J.K. Rowling è riuscita nell’impresa non facile di scrivere un fantasy pressoché perfetto, ovviamente sto parlando di Harry Potter. Intendiamoci, può non piacere, ma difficilmente qualcuno onesto intellettualmente potrà affermare che sia scritto male. I sette libri della saga del mago sfregiato sono scritti straordinariamente bene. Sono congegni a orologeria perfetti. La storia è abbastanza nota, ma la riassumo brevemente. All’età di 11 anni, l’orfano Harry Potter scopre di essere un mago e inizia a frequentare la scuola di magia di Hogwarts. Viene a conoscere la verità sulla morte dei suoi genitori, uccisi quando aveva un anno dal mago oscuro Voldemort. Harry, aiutato dagli amici Ron e Hermione e tantissimi altri personaggi, si scontrerà più volte con la sua nemesi fino a una spettacolare battaglia nel castello di Hogwarts. Ogni libro rappresenta un anno scolastico, dalla fine dell’estate al termine della scuola. Struttura semplice, trama facilmente riassumibile. Poi, però, si inizia a leggere il primo libro, Harry Potter e la pietra filosofale, e ti rendi conto che la Rowling ha immaginato un mondo, parallelo al nostro, di incredibile coerenza. Non bisogna neanche sforzarsi di sospendere l’incredulità, semplicemente puoi credere che sia vero che esistano parti di Londra nascosti dietro pub magici, oppure giochi da fare a cavallo di scope volanti come il quidditch, o ancora quadri e fotografie che si muovono come se coloro che vi sono ritratti fossero vivi.

Non si fa fatica a entrare nel mondo di Harry. Si fa fatica a uscirne, questo sì. Ho provato momenti di vero stupore leggendo come la Rowling avesse disseminato ogni libro di elementi passati praticamente inosservati per poi riprenderli anche molto in là nella storia. Faccio un esempio, nel finale del quarto libro, il professor Silente ascolta Harry raccontare di come Voldemort fosse risorto e sorride fugacemente. Bene, questo particolare viene ripreso nel finale del settimo libro e ne viene spiegato il senso! Vi assicuro, non è facile avere  chiaro in mente lo schema non di uno, ma di ben sette libri, in modo così coerente. Per non parlare dei plot twist che fanno rileggere tutto in un’ottica diversa da come lo si era interpretato fino a quel momento.

Ma non è solo lo stile di scrittura a fare di questi libri dei capolavori fantasy, sarebbe riduttivo. Come in ogni grande fantasy, non c’è in gioco solo la sopravvivenza di un singolo uomo, per quanto importante (e basta pensare a Twilight!), c’è in gioco un intero mondo. Anzi, due, quello magico e quello babbano, cioè la nostra triste realtà senza magia. Voldemort non vuole solo uccidere Harry, lo vuole eliminare perché è una minaccia nella sua strada per il potere assoluto. Harry non cerca solo di sopravvivere o di vendicarsi, è disposto a morire per i suoi amici e per una causa superiore.

Già, a morire. Perché in Harry Potter si muore, fin dal primo libro. Muoiono antagonisti, muoiono comprimari, muoiono protagonisti. La battaglia di Hogwarts ci consegna un bollettino di guerra impressionante, ma è solo la ciliegina sulla torta di una ecatombe centellinata nei libri precedenti e esplosa nell’ultimo. Il coming age del protagonista, infatti, passa attraverso una serie di abbandoni, lutti, violenze e vessazioni che deve affrontare. Non sarà mai solo, grazie agli amici e ai professori che lo aiuteranno il più possibile, ma, con grande talento, la Rowling lascia che, nei momenti culminanti, Harry sia sempre solo. Contro Voldemort, contro i maghi oscuri Mangiamorte, contro il Ministero della Magia. Anche di fronte al sacrificio finale, Harry andrà solo, circondato dai fantasmi dei suoi cari defunti, pronto a affrontare Voldemort con la consapevolezza di avere poche speranze.
Sono pronto a morire”, sussurra Harry nel prefinale del settimo libro. Ecco, in quelle parole c’è la grandezza di questi libri. Non è una sbruffonata di un adolescente ribelle, non è la sfida di un supereroe, non è una frase di quieta disperazione. È un addio tenero e triste, come solo gli adolescenti sanno essere. In sintesi, fatevi un favore, leggete i libri di Harry Potter, non accontentatevi dei pur piacevolissimi film. Troverete davvero della magia.

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1 commento

  1. Aggiungo che letti in lingua originale sono deliziosi: una lingua pulita e precisa, semplice ma non banale, fruibile e perfetta se letta ad alta voce…

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