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Lo scorso 29 maggio 2018, il Vicesindaco e Assessore alla cultura della città di Cosenza, Jole Santelli, commentava la conferma di Cosenza città che legge, qualifica biennale attribuita dal Centro per il libro e la lettura del MibACT d’intesa con l’ANCI, con parole di grande soddisfazione: “questo rinnovato riconoscimento premia il nostro impegno alla diffusione della lettura quale contributo fondamentale alla crescita socio-culturale delle città. Nelle nostre iniziative culturali cerchiamo di riservare sempre uno spazio ai reading e alle presentazioni di novità editoriali in luoghi e strutture storici, che diventano i nostri ‘Beni parlati’.”
Una soddisfazione sacrosanta, se si pensa che i dati Istat raccontano la Calabria quale ultima regione per lettori (solo il 25,1% dichiara di aver letto almeno un libro nell’ultimo anno per motivi non strettamente professionali contro il 58,8% della Provincia autonoma di Trento) in un Paese che ne registra una vera e propria emorragia (dal 46,5% del 2010 al 40,5% del 2016).

In un contesto così sano ed operoso come si può commentare la notizia dei giorni scorsi che vedrebbe la Biblioteca Civica di Cosenza senza luce?
Con una battuta facile si potrebbe dire che per leggere non serve una luce, basta una torcia a batterie: la stessa che usano i dipendenti per cercare i libri da consegnare all’utenza.
Le battute però in questo caso non aiutano a capire e leggendo l’articolo di qualche giorno fa di Franco Rosito, apparso sulla Gazzetta del Sud, dal titolo “Biblioteca senza luce, né futuro”, si scopre che la condizione in cui versa l’istituto culturale cosentino è ben più preoccupante del distacco delle utenze. Oltre alle utenze, infatti, ci sono quattro dipendenti che non ricevono lo stipendio da tre mesi e la scrivania vuota del direttore, dopo il trasferimento ad altro incarico della dottoressa Anna Viteritti.
Non è bastata la mobilitazione di cittadini che in pochi mesi hanno formato un’associazione a difesa della Civica, né è bastato l’appello del Presidente dell’Accademia Cosentina, Leopoldo Conforti, che guida il Cda della Civica (Cda formato da rappresentanti a nomina politica della Città dei Bruzi e dall’Amministrazione Provinciale) per scongiurare definitivamente la chiusura dell’Accademia Cosentina (dal 1511) e della Biblioteca (dal 1898).

La posta in gioca è addirittura più alta dei trecentomila volumi custoditi nel Palazzetto dell’Accademia Cosentina e nel Complesso di Santa Chiara. Persino la cronica mancanza di fondi e la riflessione sulla Legge Regionale 17/85, che disciplina il sistema bibliotecario regionale, e sul suo progressivo definanziamento, sarebbe poca cosa per comprendere lo stato di degrado e di abbandono di una delle più importanti biblioteche pubbliche calabresi.
Io ho iniziato il mio percorso universitario all’Università della Calabria. Cosenza ha rappresentato un luogo fondamentale del mio percorso di formazione. Ad Arcavacata andavano in scena le lezioni, ma la città di Cosenza era lo spazio privilegiato della vista, degli incontri e delle discussioni. Il Teatro Rendano, il Teatro dell’Acquario, la libreria Domus, la Biblioteca Civica, la Nazionale erano spazi dove sperimentare il pensiero critico, leggere, guardare, studiare, incontrare autori non propriamente accademici.

Alla Civica di Cosenza ho avuto fra le mani la mia prima Cinquecentina. Ricordo con emozione una lettera del mio relatore indirizzata all’allora direttore della biblioteca, il dottor Giacinto Pisani, in servizio alla Biblioteca dal 1959. Uomo bonario, garbato, gentile, dedito al suo lavoro.
Dopo il suo pensionamento, avvenuto nel 2007, la Biblioteca Civica di Cosenza ha conosciuto tempi difficili. In una lettera a firma Michele Chiodo, apparsa su “Iacchite’.com”, si legge di omissioni di atti importanti, tra cui 5 annualità dei bilanci preventivi e consuntivi, di una causa di lavoro, in cui la povera Biblioteca è stata condannata al pagamento di 470 mila euro (per cui fu notificato uno dei primissimi decreti ingiuntivi), di debiti contratti per oltre 500.000 euro e di un Cda gravemente inadempiente. Comunque stiano le cose, e lasciate alla magistratura il compito di fare chiarezza, considerate le ambasce della Biblioteca Civica cosentina viene naturale chiedersi, in anni di assoluto disordine, chi e come sia stato custodito il patrimonio librario, atteso che in una verifica del 2010 della Commissione della Soprintendenza Archivistica Regionale e dai CC del Nucleo dei Beni culturali (sempre riportata dal Chiodo) si segnalavano sparizioni di edizioni antiche e rare.

Il punto nodale della discussione è, a mio modesto avviso, la mancata attenzione nelle nostre comunità, almeno da un decennio, per la cultura e le sue forme (esistono per fortuna salvifiche eccezioni). Tale attenzione, in molti casi, nasce dalla necessità di un determinato bene o servizio. Esiste oggi nella nostra terra, e più in generale nel nostro Paese, l’esigenza di preservare i libri e il patrimonio che essi custodiscono?
A Rossano Scalo, dove ho vissuto lo scorso anno, non esisteva una biblioteca pubblica. La città nuova, edificata nella parte bassa del territorio comunale, non ha mai sentito il bisogno di una biblioteca, sia pure di quartiere.

A Castrovillari la gloriosa Biblioteca dedicata ad Umberto Caldora, affidata dal maggio scorso all’Associazione di Cultura Classica, che ne cura l’apertura, è priva di personale. Ai tempi in cui la frequentavo, oltre alla responsabile, dottoressa Eugenia Barletta, c’erano almeno altre tre dipendenti comunali che prestavano il loro lavoro quotidiano in biblioteca: Pietro, Mimmo ed Antonietta.
Sarebbe bello riavere una biblioteca pienamente funzionante al centro della città, magari nella restituita Caserma dei Carabinieri, con uno spazio adeguato per i lettori più piccoli.

Scolaresca in visita alla Biblioteca Civica “U. Caldora” di Castrovillari

Attribuire la colpa alle Istituzioni, che pure devono farsi carico di responsabilità specifiche, è un viatico facile. La verità è che i libri sono sempre meno presenti nelle nostre vite. Molte delle case private che mi capita di visitare ne sono essenzialmente prive. La spesa dell’enciclopedia, che molti dei nostri genitori affrontavano con piccole rate, è stata sostituita da bisogni più stringenti.
C’è in questo preciso momento storico, in particolare nella mia povera terra, un disinteresse culturale preoccupante. L’analfabetismo funzionale non risparmia nessuno ed è in momenti come questi che si dovrebbero riempire i granai dello spirito, come amava definirli, Marguerite Yourcenar.
A Modena, il sistema bibliotecario è composto da quattro Biblioteche Generali (Delfini, Crocetta, Giardino, Rotonda), tre Biblioteche Specializzate (Poletti, Memo, Vecchi-Tonelli), due Biblioteche Speciali, presso il Pediatria del Policlinico e la Casa Circondariale, e ben sette punti lettura nella periferia della città. La Biblioteca Delfini, in Corso Canalgrande 103, rappresentava e rappresenta un vero e proprio punto di riferimento per l’intera città. Aperta tutti i giorni dalle 9.30 alle 20.00, sabato compreso, ha un’area di 600 metri quadrati interamente aperta al pubblico (dalla sala per i neonati a quella dei quotidiani). Con un patrimonio di 162 mila volumi, che ogni anno circolano tra i modenesi 280 mila volte, vanta una media di 800 visitatori al giorno (sede di palazzo Santa Margherita). Diciottomila utenti attivi, che in media prendono a prestito 15 libri l’anno. Nel 1996 ha vinto il premio “Biblioteche oggi” ed è stata una delle prime biblioteche italiane di nuova concezione, progettate cioè per attrarre i lettori con spazi accoglienti e colorati, percorsi semplici da seguire, proposte multimediali e letture legate alla stretta attualità.
I paragoni sono in molti casi scomodi e scorretti: quelli fra Emilia Romagna e Calabria rischiano di diventare addirittura umilianti, ma io continuo a sperare che pure nel profondo Sud possa avvenire una rivoluzione culturale, una riscossa civile che contribuisca a cambiare il volto dell’intera Italia.
La Calabria, del resto, ne è parte e la razza che ci vive è la stessa: quella umana, salvo eccezioni.

 

 

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