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Raccontare un capolavoro non è mai compito semplice: il pericolo è quello di immiserirlo, cedendo alla tentazione di una spiegazione qualunque. Se il capolavoro che si vuole raccontare è poi di un certo Mark Twain, allora il rischio diventa impresa e se a guardarlo sarà un pubblico dai 6 ai 99 anni, allora l’impresa dovrà superare persino il pranzo domenicale della suocera.

Non ero mai stato al Teatro Morelli, storico teatro cosentino che guarda al Busento, aperto già negli anni ’30 e poi semidistrutto dai bombardamenti del 12 aprile del 1943. Non c’ero mai stato perché chiuso da metà degli anni ’90 e riaperto solo il 5 novembre 2008, quando era già iniziata la mia vita al Nord.

La macchina parcheggiata dall’altro lato del fiume, nei pressi dell’ex Edificio delle Regie Poste e Telegrafi, permette una passeggiata di poche centinaia di metri, sufficiente a godere della vista di uno dei centri storici più belli d’Italia. se a tanta bellezza si accompagnasse il medesimo rispetto, allora la mia terra sarebbe meravigliosa.
I biglietti per lo spettacolo sono prenotati, ma il Teatro Morelli è grande, la sua capienza di 626 posti fa della prenotazione un atto di estrema prudenza. L’attesa nel foyer, che sfoggia una bella macchina per proiezioni, permette di salutare Dario e Debora e di incontrare Rosa Maria, compagna di viaggio del mio ritorno teatrale.
Cosenza è una città. E’ evidente dalla lingua rubata ai colloqui degli spettatori, dai vestiti che indossano e da qualche cappello di bella foggia.
Ismaele è impaziente.

– Papà, quando ci fanno entrare?

L’ingresso è rassicurante, tonalità di arancio colorano il teatro ristrutturato e oggi affidato al Progetto More di Scena Verticale, i posti scelti sono comodi, centrali e non troppo vicini al palcoscenico, adatti all’approccio cauto di mio figlio.
Ci siamo. Avvertito Ismaele della presenza del serpente, lo spettacolo può iniziare.

L’incipit è affidato alle ombre: un perfetto gioco di luci proietta i corpi degli attori sul palcoscenico della narrazione. Il caos, piano piano, lascia spazio al cosmos. Dal molteplice all’uno, dall’àpeiron, indeterminato greco della forma, al definito, dal buio alla luce.
Sarà proprio la distinzione dell’essere, la guerra dei sessi come si legge nel foglio di sala, a strutturare e caratterizzare il testo ripercorso sapientemente da Dario De Luca, che oltre a curare la drammaturgia firma anche la regia dell’allestimento. I rimandi iniziali sono quelli della preistoria, ma via via la storia cede il passo a quello che Foucault avrebbe chiamato archeologia dell’uomo. La linea di demarcazione, segnata da Adamo (interpretato dal bravissimo Davide Fasano) dapprima come confine, diventa, successivamente, soglia: sull’uscio una strana figura di sapere chiamata Eva (superlativa Elisabetta Raimondi Lucchetti).
Le parole e le cose si abbracciano: l’opposizione fra maschile e femminile diventa necessaria a dare nome al mondo, i comportamenti dei due progenitori introducono una differenza significativa nel campo del sapere. I dialoghi con l’immensa luce, il capo, sono la via d’accesso ad una verità che ha nuovamente il compito di riportare ad unità la narrazione.
I miracoli del paradiso di cartapesta, creato da Rita Zangari, sono i gesti di una primordiale umanità: l’ombrello di Adamo (a cui probabilmente si sarebbe potuta aggiungere una sottolineatura sonora che suggerisse la scoperta della pioggia) e il salvataggio di Eva dal suo tratto narcisistico incorniciano la vita di questa bella d’erbe famiglia e d’animali.


Ciò che il serpente, creato da Angelo Gallo, non dice è restituito nel testo dall’amore per l’immagine:  un narcisismo che non passa per l’adorazione di se stesso, bensì dall’amore per il superfluo. Forse proprio l’amore del superfluo è la cifra dello spettacolo di Scena Verticale, lontano dalla logica dell’utilitarismo, una sinfonia continua a valere più di un vestito, la luna più di una clava, la poesia della luce più del finale di questa piccola bagattella.
Ismaele è felice: attribuisce dieci allo spettacolo e forse da domani avrà meno paura degli effetti speciali.
Così si cresce.

 

 

DIARIO DI ADAMO ED EVA

liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Mark Twain

di Dario De Luca

con Elisabetta Raimondi Lucchetti e Davide Fasano
spazio scenico, disegno luci e regia Dario De Luca
assistenza alla regia Gianluca Vetromilo
costumi e oggetti di scena Rita Zangari
elementi scenografici e puppet Angelo Gallo – Teatro della Maruca
audio e luci Vincenzo Parisi
organizzazione Rosy Chiaravalle
ufficio stampa Valeria Bonacci
distribuzione Radice di due
produzione Scena Verticale

Le foto di scena pubblicate in questo post sono di Irina Pedullà

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