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 Jeremy Corbyn: la sinistra alla riconquista del Partito laburista

 Pubblicato su “Movimento Operaio” il 16 Aprile 2018

 François Chesnais, militante del NPA, portavoce di Attac!, collaboratore di “Le Monde Diplomatique”, riflette su una delle più importanti novità nella sinistra europea, passando in rassegna alcuni libri dedicati a Jeremy Corbyn, ma anche alla trasformazione profonda di un partito che sembrava avviato verso l’estinzione. Questa è la prima parte, la seconda sarà pubblicata tra pochi giorni.

Alla fine del 2017, nel Regno Unito sono stati pubblicati due libri, entrambi in edizioni aggiornate e ampliate, che si occupano del netto spostamento a sinistra del Partito laburista – che ha ormai voltato la pagina del New Labour di Blair – e del percorso politico e della personalità del suo nuovo dirigente, Jeremy Corbyn. Trattandosi del maggiore partito socialista/socialdemocratico del mondo, forte oggi di 570.000 membri, basterebbe il suo successo elettorale del giugno 2017 con un programma chiaramente contro l’austerità a giustificare l’interesse per i suoi sviluppi.
La possibilità d’una vittoria del Labour in nuove elezioni, alle quali la crisi interna del Partito conservatore può portare in un futuro abbastanza prossimo, è un ulteriore stimolo alla loro lettura. Questa ci aiuta a capire come mai un anziano deputato che s’era fatto conoscere per il suo sostegno a molteplici cause progressiste – contro il nucleare, contro la guerra, contro l’apartheid, in difesa dei diritti degli omosessuali, a favore dell’accoglienza dei migranti – e per il suo costante rifiuto di votare a favore delle leggi austeritarie dei governi Blair [maggio 1997-giugno 2007] e Gordon Brown [giugno 2007-maggio 2010], sia riuscito a far convergere su di sé tre diversi processi: 1) quello, interno al Labour, della crescente resistenza dei militanti di base al programma thatcherista-blairista, mai completato, di distruzione dei servizi pubblici; 2) la decisione dei sindacati, fra i quali i due maggiori, di impegnarsi di nuovo nell’orientamento del partito, del quale sono una componente; 3) il fatto, infine, che migliaia di studenti e di militanti di varie associazioni abbiano deciso di fare del Partito laburista il proprio strumento politico per lottare contro il Partito conservatore e la City.

(Photo by Matt Cardy/Getty Images)

Il libro di Richard Seymour, “Corbyn, The Strange Rebirth of Radical Politics” (Verso, London 2017), si occupa inoltre in modo particolare degli attacchi senza tregua contro Corbyn da parte dei media dopo la sua elezione alla testa del Labour nel 2015 e della tenace contestazione e denigrazione di cui è fatto oggetto dalla maggioranza dei deputati laburisti, molti dei quali sono ancora aggrappati al blairismo. L’altro libro, di Alex Nunns, The Candidate, Jeremy Corbyn’s Improbable Path to Power (OR Books, London 2017), è il frutto d’una ampia inchiesta fra i militanti e i simpatizzanti del Partito laburista, della quale l’autore aveva fatto un’anticipazione in un articolo pubblicato nel 2015 su «Le Monde Diplomatique». Vi si seguono le micro-evoluzioni politiche interne al Labour, esse stesse riflessi di profondi mutamenti sociali, che avevano saputo cogliere ben pochi osservatori britannici, e ancor meno lo avevano fatto gli editorialisti stranieri. È poi prezioso per la messe d’informazioni fornita su Momentum, questa sorta di «movimento di movimenti» che ha garantito a Corbyn il massiccio sostegno, «nelle piazze, nei porta a porta, nelle urne», di decine di migliaia di giovani politicizzati.
L’esperienza britannica è contraddistinta da importanti aspetti sui generis. Questi consistono nella storia molto particolare del Partito laburista, nell’ampiezza e nell’intensità della mobilitazione dei giovani, nella direzione politica che questa mobilitazione ha imboccato. Alla fine del suo libro, Nunns si smarrisce un po’ fra i dettagli della campagna del 2017, per quanto interessanti possano essere. In compenso, Seymour conclude il suo sottolineando l’importanza delle forze sociali e degli ostacoli istituzionali con i quali un governo Corbyn, una volta eletto, dovrebbe fare i conti. E si interroga su quali misure Corbyn sarebbe in grado di prendere effettivamente.
Questa preoccupazione è anche alla base d’un terzo libro, molto più breve e d’altro tipo. È stato pubblicato da militanti dell’ala sinistra del partito, alla quale appartiene John McDonnell, braccio destro di Corbyn e cancelliere dello Scacchiere nel “Governo ombra” del New Labour. Si intitola “For the Many: Preparing Labour for Power” (a cura di Mike Phipps e con una prefazione di Ken Loach, OR Books, London 2017), e passa in rassegna il programma del Partito laburista nelle elezioni del giugno 2017, per vedere in cosa possa essere migliorato in occasione delle prossime scadenze.
Le elezioni generali del giugno 2017, preparate da quelle del 2016 e del 2016 in seno al Labour. L’8 giugno 2017 le elezioni legislative anticipate convocate dal Primo ministro Theresa May hanno visto il Partito laburista diretto da Jeremy Corbyn – storico capofila dell’ala antiblairista del New Labour – guadagnare oltre tre milioni e mezzo di voti in più rispetto alle elezioni precedenti, con un balzo in più del 9,6 % nella percentuale nazionale: e cioè il maggiore aumento a partire dal 1945. Nell’aprile, quando Theresa May aveva deciso di indire le elezioni, i sondaggi attribuivano al Partito conservatore il doppio dei voti dei laburisti. Il risultato del Labour nel giugno 2017 risulta tanto più spettacolare in quanto il suo programma elettorale, nettamente orientato a sinistra, rompeva nettamente con oltre un ventennio di blairismo e in quanto Corbyn era stato descritto dai media come un irresponsabile agitatore, appoggiato da un apparato politico caduto nelle mani dell’estrema sinistra. È in questo modo infatti che i media caratterizzavano la tendenza di sinistra Labour Representation Committee, alla quale appartiene McDonnell. E durante la campagna elettorale, una parte della destra blairista ha fatto apertamente propaganda contro i candidati corbynisti.
La situazione del dopo Brexit ha evidentemente pesato massicciamente nella sconfitta dei Tories [i conservatori] e in particolare in quella di Theresa May. Ma ha pesato almeno altrettanto il fatto che, per la prima volta dopo la sua sconfitta a opera di Margaret Thatcher nel 1979, il Labour sì è presentato con un programma nettamente di sinistra e con un dirigente in grado di farsi ascoltare dai giovani. I risultati non hanno fatto che confermare e confortare il processo che dapprima, nel settembre 2015, aveva visto Corbyn venire eletto alla testa del Labour con il 59,5 % dei voti in una consultazione aperta ai simpatizzanti (vedi più sotto); poi resistere, nel giugno 2016, a un tentativo dei parlamentari di costringerlo alle dimissioni [6]; per infine venire eletto dal 62 % dei delegati nel congresso del partito, nel settembre 2016. Tre fattori, come abbiamo già sottolineato, hanno consentito questo risultato: 1) il nettissimo rifiuto da parte delle strutture di base del partito delle posizioni assunte a Westminster [la sede del parlamento] dal gruppo parlamentare ancora controllato da Tony Blair dopo le sue dimissioni da Primo ministro nel 2007; 2) uno spostamento a sinistra dei sindacati, membri costitutivi del Partito laburista; 3) infine, il deciso appoggio di decine di migliaia di giovani politicizzati.
A questi occorre aggiungere un fattore proprio della Costituzione non scritta del Regno Unito, e cioè il suo sistema elettorale basato sullo scrutinio uninominale a un turno (first past the post), che stimola fortemente a tentare di fare del Partito laburista uno strumento di lotta. A causa di questo sistema elettorale, infatti, le piccole formazioni politiche, come per esempio il Partito verde, sono sempre rimaste escluse dal Parlamento. Lo stesso Partito per l’indipendenza del Regno Unito (UKIP), nazionalista e xenofobo, non ha potuto entrarvi prima del 2015. E la più grande organizzazione trotskista britannica, The Militant, a suo tempo ha deciso di diventare una tendenza in seno al Labour.

Per i conservatori come per i laburisti il sistema elettorale fa sì che le scissioni equivalgano a suicidi. E infatti oggi gli amici di Blair non vi pensano per niente, così come negli anni Ottanta aveva fatto l’ala sinistra organizzata attorno a Tony Benn. L’opposizione alle politiche neoliberali s’è dunque organizzata mediante lotte interne condotte sia dai sindacati, che ne sono una componente storica, sia dagli iscritti, nelle strutture di base delle circoscrizioni elettorali popolari. Prima ancora che i giovani gettassero nella battaglia le loro forze, nel corso di almeno un decennio si era assistito a micro-mutamenti politici di difficile apprezzamento, anche da parte di coloro stessi che ne erano protagonisti. Un partito cui Blair nel 1994 aveva modificato il nome in New Labour – e che la maggior parte degli osservatori riteneva irreversibilmente “blairizzato” -, s’è spostato a sinistra senza che quasi nessuno se ne accorgesse, fino al momento in cui, nel settembre 2015, Corbyn ha vinto a mani basse le elezioni interne svoltesi per corrispondenza.
Un partito fondato dai sindacati, sul quale esercitano una forte influenza. In occasione di queste elezioni, decisivo è stato il voto sindacale, e in particolare lo è stato il pubblico appoggio a Corbyn di due possenti federazioni: quella di Unison (impiego pubblico) e quella di Unite (lavoratori non specializzati, con tre milioni di aderenti). […]
L’arrivo al governo del New Labour nel 1997 e la decisione ostinata di Blair di non mettere mano alla legislazione varata dalla Thatcher hanno provocato forti tensioni e una rottura completa con i sindacati sul piano sociale, con ripercussioni sul funzionamento interno del Partito laburista. Di conseguenza, i sindacati dei marittimi e dei pompieri si sono disaffiliati (opt out) dal New Labour, mentre Unison e Unite vi sono rimasti. L’affiliazione comporta pesanti impegni finanziari per i sindacati, ma anche una dipendenza dal partito. A lungo essa ha assegnato ai dirigenti sindacali un considerevole potere, che derivava dalla regola del voto bloccato nei congressi. Ma dopo aspri scontri, gli statuti sono stati cambiati. Dal 2013 i membri dei sindacati affiliati non diventano automaticamente anche membri del Partito laburista, ma devono aderirvi individualmente (opt in). Comunque, nonostante tutte queste difficoltà, l’appartenenza dei sindacati al Labour ha conferito alle strutture del partito un elevato grado di solidità e ha costretto i suoi dirigenti a difendere [di fronte ai sindacati] la loro politica. Blair nel 1999 ha potuto rifiutare di modificare le leggi thatcheriane, ma gli sarebbe stato impossibile fare ciò che la Thatcher aveva fatto: spezzare prima lo sciopero dei minatori e poi, più tardi, quello dei portuali, per imporre la flessibilità nel lavoro e la precarizzazione degli impieghi. Oggi, dopo diversi mutamenti negli statuti, la capacità dei sindacati di pesare nelle decisioni del Labour dipende molto meno dai posti nella direzione attribuiti loro d’ufficio e molto più dalla partecipazione dei loro aderenti alla vita e alle attività del partito.
Una struttura di base in cui gli aderenti pesano molto. Il Partito laburista è di gran lungo strutturato in modo meno piramidale della maggior parte degli altri partiti. È addirittura quasi bicefalo. La parola Labour ricopre due strutture diverse, anche molto diverse: il Parliamentary Labour Party, che raggruppa tutti i deputati, e il – o più esattamente i – «partiti di circoscrizione, Constituency Labour Party (CLP), che raggruppano gli aderenti del partito di ciascuna delle 600 circoscrizioni elettorali [cioè i collegi uninominali] del Regno Unito. Il partito di circoscrizione corrisponde grosso modo a quella che è (o era) la sezione nel Partito socialista in Francia. […]
Il New Labour è stato sottoposto a profondi mutamenti, che nelle intenzioni avrebbero dovuto scongiurare l’apparire del fenomeno Corbyn. Come ha sottolineato Thierry Labica, il New Labour non si riduceva a un insieme di misure politiche, ma rappresentava anche un nuovo modo di funzionare del partito, una nuova correlazione dei rapporti di forza interni.


Là dove prima prevaleva una distribuzione a livello federale delle forze in seno al partito, le riorganizzazioni interne degli anni Ottanta e Novanta hanno fatto in modo di emarginare e indebolire le componenti organizzate (sindacati, sezioni locali) in grado di intervenire sull’orientamento del partito, per sostituirle con una scala gerarchica in discesa, con al vertice una élite di professionisti, esperti in comunicazione e strategie elettorali, e alla base una periferia di simpatizzanti e di aderenti, neutralizzati all’interno di un complesso sistema di meccanismi istituzionali […]. I congressi cessano di essere momenti di elaborazione programmatica, a vantaggio di un “National Policy Forum”, al di fuori della portata dei non iniziati. Per non fare che un esempio del nuovo potere di controllo politico in seno al New Labour, basti dire che quando l’intervento militare in Iraq a fianco di Bush ha suscitato le più ampie manifestazioni di massa della storia del Paese ed è stata la causa immediata di dimissioni di massa fra gli iscritti, l’organismo congressuale (Labour Party Conference) è riuscito a impedire ogni dibattito o mozione sull’argomento.
Nella sua prefazione al libro “For the Many”, citato più sopra, Ken Loach esorta i militanti a esercitare fino in fondo il diritto di scegliere i candidati nelle elezioni future. Corbyn e McDonnell non riuscirebbero a fare granché al governo senza l’appoggio d’una forte maggioranza di deputati orientati a sinistra. Sono le posizioni politiche di ogni deputato quelle che renderanno possibile la traduzione in leggi del programma elettorale e il loro grado di radicalità. Ma anche il pieno esercizio del diritto di designazione dei candidati riuscirà forse a compensare il fatto che la composizione sociale delle circoscrizioni è stata modificata, spesso notevolmente, dalla deindustrializzazione e dalla diminuzione del peso sociale e politico degli operai che ne è derivata. Di qui la grande importanza della mobilitazione dei giovani per Corbyn.

François Chesnais

 

Continua. Titolo della seconda parte: “Regno Unito / Corbyn e Momentum, il «movimento di movimenti»”

 

 

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