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Il clamore di questa settimana è tutto per la vicenda di Cesare Battisti, arrestato il 12 gennaio a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, ed estradato immediatamente in Italia.
Per chi, come me, è nato negli anni 70, anni segnati da uno scontro politico feroce (non dissimile da quello che mi sembra di percepire in questa fase della nostra vita repubblicana) e dal piombo conseguente, l’arresto dell’esponente dei Proletari Armati Per il Comunismo è una notizia di prima grandezza. La fuga del terrorista avvenuta nell’ottobre del 1981 rappresenta, almeno per il sottoscritto, forse più di ogni altra cosa, la fine di un periodo.  La sentenza passata in giudicato che lo condanna all’ergastolo per aver commesso quattro delitti non è oggetto di discussione. In uno Stato di diritto chi commette crimini viene processato, condannato e condotto in prigione.
Si sperava che la vicenda fosse conclusa con la consegna in custodia di Battisti al penitenziario Massama (Oristano), nel quale sconterà la pena, ma la brutalità dei tempi non consente pietà, già sconosciuta agli assassini. Il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, martedì 15 gennaio pubblica su Facebook un video che mostra tutte le fasi del rientro in Italia dell’ex terrorista. E’ una clip agghiacciante, che gareggia con le migliori dirette del Ministro degli Interni. Il Ministro della Giustizia, viola due norme in un solo post: la 114 del codice di procedura penale che vieta ”la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica” e quella prevista dall’articolo 42 bis della legge sull’ordinamento penitenziario che raccomanda nelle traduzioni le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità. Sarebbe il caso di rimuovere il video, scusarsi e ricordarsi che un tempo il Ministero era quello di Grazia e Giustizia. Un tempo.

Buona domenica.

Francesco Gallo

 

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