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Il mese scorso ci ha lasciato il professor Livio Sossi, docente di Storia e Letteratura per l’Infanzia all’Università di Udine e all’Università del Litorale di Capodistria (Slovenia).
La sua prematura scomparsa, oltre ad essere motivo di personale dolore, è una ferita profonda per molti autori, illustratori ed editori.
Sono stato un amico del professor Sossi e l’unica cosa che mi è venuta in mente è quella di provare a parlare di lui con chi lo conosceva prima e meglio di me, alla ricerca di un mondo che Livio portava dentro i suoi occhi, nella luce cavernosa della sua voce.

La prima intervista è a Carlo Rango, amico, professore e preside che me lo ha presentato. Lo ringrazio infinitamente.

Come ha incontrato il professor Livio Sossi?
Durante un’attività svolta nella scuola in cui lavoravo. Avevo provato ad approfondire un discorso sulla letteratura per l’infanzia coinvolgendo i ragazzi e qualcuno mi diede il contatto del professor Livio Sossi, consigliandomi di interpellarlo. Risale a moltissimi anni fa. Da lì lo conobbi. Sin dal primo incontro si creò un’empatia. Livio era una persona di una grande preparazione e dal cuore ancor più grande. Forse allora in Italia era uno dei pochissimi ad avere una grossa competenza non solo sulla narrazione, ma anche sull’illustrazione.

Qual è stata la sua professione e cosa aveva in comune con il prof. Sossi?
Sono stato un lavoratore della scuola, a vari livelli. Avevamo in comune una grande passione verso la letteratura e, in particolare, verso l’illustrazione. Lui da esperto, io da neofita, affascinato dalle illustrazioni per bambini e ragazzi. Poi però nacque qualcosa che andava oltre la passione: l’afflato che capita di avere con delle persone senza potersi spiegare i motivi, senza doverseli spiegare. Ci definivamo fratelli. Quando Livio veniva a casa mia, entrando diceva: “La mia stanza è libera?”. Eccezionale era anche il rapporto con la mia famiglia, con i miei figli. Si creò il senso di una fratellanza vera e propria, seguita poi dall’esperienza del Premio Štěpán Zavřel.

Cos’era il Premio Štěpán Zavřel?
È stata una delle più importanti iniziative dell’Associazione culturale IRFEA, fondata circa trent’anni fa e che oggi vede ancora attivi una trentina di soci (n.d.r. Carlo Rango è il Presidente). Nacque per porre l’attenzione sull’ambiente naturale e antropico sul mattone e il ciuffo d’erba, per usare le metafore di Frabboni. Nel discorso sul mattone pensammo alle fiabe dell’area del Mediterraneo. Si avviò nell’anno in cui venne a mancare Štěpán Zavřel, il 1999, per ricordare questo immenso illustratore. Eravamo a Trieste con Livio, in un bar, e ci chiedemmo cosa potessimo fare per onorare quest’uomo straordinario. Il Premio ebbe sette edizioni e si caratterizzò per la sua portata internazionale: Spagna, Ucraina, Russia. Purtroppo per questioni finanziare oggi non si può più organizzare.  Molto significativi erano i laboratori che si svolgevano nelle scuole. Grandi illustratori e narratori si recavano nelle istituzioni scolastiche e lavoravano con i ragazzi attorno al tema e alla fiaba che quell’anno era il centro dell’iniziativa. In poche parole, il Premio consisteva nella richiesta fatta agli illustratori di immaginare, disegnare due sequenze della fiaba del Mediterraneo messa a concorso. C’era una giuria tecnica e una giuria dei bambini. La giuria tecnica aveva il compito di selezionare, fra centinaia di illustrazioni che arrivavano da diverse nazioni, quelle ammesse a concorso e successivamente attribuiva il premio. Chi vinceva era poi chiamato da case editrici, autonomamente, per illustrare l’intero albo. Tanti illustratori sono passati dal nostro Premio (Gianni De Conno, Roberta Angeletti, Alessandro Ferraro, Sandro Natalini, Sonia Possentini, Chiara Sgarbi, Antonello Silverini, Gek Tessaro).  E altrettanti albi sono venuti alla luce con le narrazioni da noi proposte. Accanto alla giuria degli esperti operava quella dei bambini. Era una emozione vederli quando osservano le illustrazioni, quando discorrevano tra loro, quando dovevano dare il loro voto alle illustrazioni.
Il Premio ebbe successo enorme tanto che ancora oggi, a distanza di molti anni dall’ultima edizione, ci scrivono per chiederne notizie. Naturalmente la diffusione del bando avveniva nella Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna e attraverso altri canali. Uno di questi erano i continui viaggi di Livio su e giù per l’Italia.

  Qual era il compito che il professor Sossi svolgeva per il Premio Zavřel?
Livio presiedeva la giuria e naturalmente aveva le competenze e la passione necessarie a sostenere il premio. Lui era molto conosciuto nell’ambiente, non solo in Italia, e rappresentava la garanzia della serietà del premio. E poi la giuria era formata da esperti del settore, molte volte i vincitori del premio l’anno dopo erano fra i giurati. Nacque a Morano Calabro e poi si spostò a Castrovillari. Sia Morano che Castrovillari erano punti d’approdo del Premio.
I laboratori erano svolti nell’intero territorio della Calabria, in diverse occasioni abbiamo sconfinato anche in Basilicata.

 Può provare a spiegarci come avveniva il lavoro di promozione della lettura e che ruolo interpretava il prof. Sossi
Avveniva essenzialmente parlando ai ragazzi nelle scuole. Livio aveva una capacità enorme di attrarre i ragazzi. Quando andava in giro portava con sé una valigia colma di libri. Ricordo che più volte, dopo averlo aspettato in qualche stazione, arrivati a casa mia non appena cominciava a togliersi la giacca e, d’inverno, anche il cappotto, si restava meravigliati dalle miriadi di libri che uscivano dalle loro tasche. Dentro ogni capo che indossava aveva tre o quattro libri. Il suo era letteralmente un corpo fatto di libri. Con Livio, che viaggiava solo in treno, tanto da far dire al figlio che era il più importante finanziatore delle Ferrovie dello Stato, arrivavano chili e chili di storie illustrate. Questi libri erano i veri protagonisti dei suoi incontri. Lui li sistemava in bella mostra, occupando tutto lo spazio a sua disposizione, e poi leggeva un passo da uno, una pagina dall’altro, faceva vedere un’immagine e poi un’altra. Tutti restavano lì a guardarlo con gli occhi sgranati e la bocca aperta. Da solo, come i grandi affabulatori, faceva il teatro.

 Su cosa eravate sempre d’accordo?
Questa è una domanda difficile. Con Livio, proprio perché fratelli, litigavamo continuamente. Discutevamo su tutto, su ogni singola questione. Litigavamo da fratelli e non con l’odio verso i fratelli, come spesso accade in questo tempo.  Lo scorso anno è uscito un libro straordinario di Vincenzo Paglia “Il crollo del noi”. In una società dove è sempre più difficile concepire il noi, a causa di una molteplicità insensata di io, mi sento di poter dire che con Livio avvertivo il senso stretto del Noi. C’eravamo Noi. In un rapporto che si permetteva il lusso della discussione, restavamo Noi. Ricordo che, nelle prime edizioni dello Zavřel, lui voleva fare degli ex aequo. Io dicevo: “no, Livio, perché il premio non è abbastanza ricco per dividerlo in due o tre”. E lui invece insisteva. Decidemmo poi in uno dei bandi successivi di togliere gli ex aequo e lui quando lesse il bando bofonchiò perplesso, con la sua voce cavernosa: “Come faremo, adesso?”
Molte volte avevamo semplicemente il gusto dello sfottò. Livio era un uomo ironico.

Ci dice in una battuta chi era Livio Sossi?
Era un fratello.

 Qual è il ricordo più bello che ha di Livio?
Tutti. Davvero tutti. Una delle ultime cose belle fatte assieme è stata all’Università della Calabria. In un convegno sull’interculturalità. Invitai Livio, che si presentò con una montagna di libri sul tema. Eravamo nell’Aula Magna dell’Università, affollatissima: alla fine della prolusione ebbe un applauso interminabile, enorme. Ecco vorrei congedarmi unendomi a quell’applauso.

Francesco Gallo

 

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