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Un anno fa nasceva il Governo gialloverde. Era l’inizio di giugno, dopo gli insulti al Presidente Mattarella, che secondo alcuni profetici commentatori era responsabile di non voler far nascere l’agognato Governo del cambiamento, il professor Giuseppe Conte giurò fedeltà alla Repubblica.
Da quel momento il super Ministro Salvini, con la sua sordida propaganda, ha azzerato ogni sforzo dell’esecutivo. Gli errori commessi sono innumerevoli e sono pochissime le misure in cui un elettore a metà, come il sottoscritto, può riconoscere i sogni che miravano alle stelle. Il contratto di governo non è cuscino comodo su cui dormire sonni tranquilli e il compagno di letto si è ben presto trasformato in un marito molesto. Tanti avevano avvertito la pericolosità di quell’abbraccio, tanti avevano supplicato un altro partner, alcuni stolti avevano comprato i popcorn per godersi la morte in streaming. Lunedì scorso il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, ha avvertito che non è possibile governare un paese come l’Italia a mezzo stampa: con provocazioni di veline quotidiane e freddure social.
Non è difficile dare ragione al Presidente del Consiglio, più complicato è sostenere, ad un anno di distanza, che il suo governo non abbia alimentato questo modo spregiudicato di comunicare.
Un’invenzione non certo attribuibile alla Lega e ai Cinquestelle: i ristoranti pieni di Silvio Berlusconi, le tasse abbassate dalle slide di Renzi e via via indietro fino alla scandalo delle Erme ci fanno compagnia nel ricordo. Non c’è da stupirsi, insomma, se le parole dei sofisti sono ancora di moda, nell’agone (che speriamo non si trasformi in agonia) della democrazia. La semplificazione, la lusinga, lo spontaneismo, i distrattori, la provocazione, sono ancora protagonisti del discorso che mira alla persuasione.
Il cambiamento vero ci sarà non appena avremo sconfitto l’analfabetismo. Non appena si tornerà a comprendere, o più semplicemente a studiare, che il piacere (divenuto like) e il bene sono cose assai differenti.
Buona domenica al sole.

Francesco Gallo

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