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Basterebbe lo scialle di nonna Francesca legato ad un’asta microfonica per restituire il senso della ricerca musicale di Sasà Calabrese. Come se la musica, legata a doppio filo ai ricordi, traducesse odori, sapori, immagini, appuntandoli su un pentagramma per conservarli.
Del resto la pratica del conservare inaugura un pensiero complesso, dietro la quale si nascondono almeno tre prerogative dell’uomo: quella della fame, quella della provvista e quella della cura.
Da sempre il bisogno di Sasà Calabrese, castrovillarese, classe 1975, è quello di suonare. Pur conoscendolo da oltre 30 anni non ho nessun ricordo di lui che non sia legato alla musica. E’ impossibile per me pensare alle sue mani senza immaginare in qualche modo una chitarra.
Il periodo che ricordo con maggior nostalgia, forse per via della nostra giovane età, è quello dell’Hemingway, un Pub gestito dal padre di Sasino, che in verità era un’officina musicale. Al tempo mangiavo poco e alcune volte pagavano per me amici generosi, ma in quel locale si faceva provvista di musica e i pezzi di Pino Daniele che suonava Sasino erano quelli che ancora oggi commuovono i miei passi. Tre di quei pezzi, Donna Cuncetta, in una bella versione impreziosita dalla voce di Mariella Nava, Chi tene ‘o mare, e Notte che se ne va, sono registrati nell’album “Conserve”, che il 22 ultimo scorso è stato presentato all’Anfiteatro di Castrolibero.

Un disco, pubblicato da Sergio Gimigliano Picanto Records e distribuito da Egea 2018. Alla realizzazione dell’album oltre a Sasà Calabrese (autore di testi e musiche, basso, contrabbasso, chitarre e voce), hanno lavorato: Fabio Guagliardi (tastiere e programmazioni), Roberto Guarino (chitarre), Tarcisio Molinaro (batteria e percussioni), Eric Daniel (flauto, Alto sax), Alessandro D’Alessandro (organetto), Salvatore Cauteruccio (fisarmonica), Antonella Ottaviani, Antonio Greco, Luigi Baffo, Daniele Moraca (cori).
Nella suggestiva serata dell’Anfiteatro che porta il nome di Vincenzo Tieri c’erano, assieme al cantautore castrovillarese, Fabio Guagliardi (tastiere e programmazioni) e Tarcisio Molinaro (batteria e percussioni). I tre musicisti, in due ore di concerto, hanno imbarattolato l’intero album, aggiungendo nello scaffale un paio di brani inediti e regalando una versione di Alice, di Francesco De Gregori, dal sapore dell’incontro e un Azzurro difficile da cantare.
L’omaggio ad Andrea Camilleri, Maestro da poco scomparso, con la voce di Paolo Chiappetta e la presenza di Massimo Garritano ricordano il gesto di chi, non limitandosi a confezionare marmellate, prepara etichette scritte in bella grafia per ogni boccaccio.
Particolarmente apprezzate da chi scrive le parole per i tecnici, lavoratori dello spettacolo spesso trascurati, che non solo meritano il rispetto tributato dal protagonista della serata, ma sono elemento essenziale del mestiere dello spettacolo.
Si potrebbero sommare al racconto della serata i numerosi applausi per i ritmi segnati da Tarcisio Molinaro e le lodi alle singole note suonate nella serata, ricordare le collaborazioni di Sasà Calabrese (Mariella Nava, Anna Mazzamauro, Salvatore Cauteruccio, Mario Venuti, Gegè Telesforo, Geoff Westley, Màs en Tango e Amedeo Minghi e tanti altri) e i premi (CantautoriBitontosuite 2018, Premio Marco Tamburini 2016. Finalista del Premio De Andrè 2017, Finalista del Premio Tenco 2019), che terremo qui solo fra parentesi.
La verità, la mia naturalmente, è che l’amico, che suonava in ogni circostanza tramutando i pensieri in canti, è diventato, conserva dopo conserva, un bravo cantautore. La sua scrittura, non scevra da imperfezioni (come del resto questa bagattella), racconta la fatica della sveglia all’alba, i chilometri fatti per raggiungere luoghi sconosciuti in cui portare la chitarra o il contrabasso, racconta il cammino imperfetto di ogni uomo che non si limita a parlare con le parole degli altri, ma cerca le proprie rime, dissemina la strada di inciampi su cui cadere.
Del resto i passi migliori si fanno rischiando, quasi cadendo.
Grazie, amico mio.

 

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