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Già pubblicato sul numero 1636 del “Venerdì di Repubblica, del 26 luglio 2019.

 «Caravàn petròl», come cantava Renato Carosone più o meno cinquant’anni fa. Il petrolio è tornato di moda, speriamo non insieme al plutonio. Ma i nostri rapporti con l’oro nero sono molto antichi. Per esempio, si legge in quel gioiellino di libro che è Mussolini e il petrolio iracheno di Mauro Canali (Einaudi 2007) che nel 1935 l’Agip (italiana) aveva conquistato la maggioranza  delle azioni di una compagnia anglo-americana che sfruttava il petrolio di luoghi poi diventati famosi, come Mosul e Kirkuk: estraeva 32 mila barili al giorno, garantendo l’autonomia energetica al Paese.

Il Duce (su cui anche Antonio Scurati concorderà: era scemo) venedette tutto per poche lire per finanziare la conquista dell’Impero in Etiopia. Novant’anni dopo ecco l’ultima nostra avventura in campo petrolifero, gestita, abbastanza disastrosamente, da tale Gianluca Savoini, uno Zelig del postnazismo, titolare di una paciosa associazione, la Lombardia-Russia, con sede nella mitica via Bellerio della Lega. Comunque finirà, è un’occasione per rivisitare la nostra storia petrolifera, a cominciare con la morte misteriosa del fondatore dell’Eni Enrico Mattei (1962), che ci fece capire che il giro era grosso; poi ci fu lo shock petrolifero del 1973 (“le domeniche a piedi”) e il primo grande scandalo, scoperto a Genova nel 1974 dal pretore Mario Alberighi: una truffa colossale sulle forniture, la corruzione ai vertici della Guardia di Finanza, e la tangente del cinque per cento pagata dai petrolieri a tutti i partiti di governo. Seguì lo scandalo Petronim (1979), tangenti ai sauditi e a correnti dc e socialiste da parte dell’Eni di Giorgio Mazzanti; gli anni Ottanta furono violentissimi con terrorismo, Opec, Libia, servizi segreti, e il secondo scandalo petrolifero che coinvolse la corrente che era stata di Aldo Moro; fino al fatale 1993, la tangente Enimont e il suicidio a San Vittore del presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, da mesi in carcere, in attesa di collaborazione, per l’inchiesta Mani pulite.

Nella seconda Repubblica, invece, oltre a Gheddafi con il suo gas e le sue ubbie, avanzano Putin con i suoi gasdotti e la sua amicizia personale con Berlusconi; e la Nigeria con la sua famelica classe dirigente. E infine, ecco la crimea e il Donbass, i mercenari, l’Ucraina, le sanzioni, il gasdotto Tap e il trumpismo (il coordinatore della campagna di Trump, Paul Manafort, oggi in carcere, faceva le stesse cose ucraine – ma più in grande – del nostro Savoini) e la solita tangente del quattro per cento su una cospicua fornitura di carburante (a chi, però? Eni ha smentito). Grosso scandalo, durerà a lungo; speriamo di avere cherosene per l’inverno: è sempre stata una preoccupazione dei nostri governi.

Enrico Deaglio

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