Condividi:

Articolo già pubblicato su “Myes/Magazine” il 19 settembre 2015.

Le celebri parole ‘I have a dream’ pronunciate da Martin Luther King il 28 Agosto del 1963, non erano state previste nel suo discorso. Fino alla notte prima della protesta, King non era molto sicuro di cosa avrebbe detto e nella bozza finale che venne divulgata la frase ‘I have a dream’ non era scritta da nessuna parte!
Solo verso la fine del discorso, la famosa cantante gospel Mahalia Jackson, seduta accanto al podio, gridò a King “Dì loro del sogno, Martin!”
King parlò di fronte a 30.000 persone a Washington D.C. radunate davanti al Lincoln Memorial per manifestare contro la disparità di trattamento delle persone di colore negli Stati Uniti. La schiavitù era stata abolita nel 1863, ma la separazione nella vita di tutti i giorni tra le persone bianche e le persone di colore era legale e negli stati del sud era la regola. C’erano fontane separate per bianchi e afroamericani, entrate separate per le aziende e per i ristoranti, sale d’attesa diverse nelle stazioni dei treni e dei bus e ai bambini di colore non era permesso frequentare le stesse scuole dei bambini bianchi.

Durante la sua carriera di attivista per i diritti civili, King ha sempre sostenuto i principi della non-violenza nel promuovere le proteste, le quali, però, spesso venivano represse duramente dalla polizia, specialmente in Georgia, Alabama, Mississippi e nel Tennessee, gli stati menzionati alla fine del discorso.
A rendere il discorso così memorabile non furono soltanto le parole e la passione dietro di esse ma piuttosto l’immagine che quelle parole crearono: bambini di colore e bianchi che giocano insieme, la libertà per gli afroamericani di vivere in una società senza segregazioni e persone che lavorano insieme per proteggere i diritti civili di tutti.    King condivise la sua visione di un futuro armonioso dal punto di vista della tensione razziale e ricordò a tutti i sui concittadini il vero principio della Dichiarazione di Indipendenza: tutti gli uomini sono stati creati uguali.

L’intero discorso durò circa 17 minuti.
E terminò com queste parole…

«And so even though we face the difficulties of today and tomorrow, I still have a dream. It is a dream deeply rooted in the American dream.
I have a dream that one day this nation will rise up and live out the true meaning of its creed:
“We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal…


Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sulle rosse colline della Georgia i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza.
Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, uno stato colmo dell’arroganza dell’ingiustizia, colmo dell’arroganza dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e giustizia.
Io ho davanti a me un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere.
Ho davanti a me un sogno, oggi! Io ho davanti a me un sogno, che un giorno ogni valle sarà esaltata, ogni collina e ogni montagna saranno umiliate, i luoghi scabri saranno fatti piani e i luoghi tortuosi raddrizzati e la gloria del Signore si mostrerà e tutti gli essere viventi, insieme, la vedranno.
E’ questa la nostra speranza. Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il Sud. Con questa fede saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede saremo in grado di trasformare le stridenti discordie della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fratellanza. Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di pregare insieme, di lottare insieme, di andare insieme in carcere, di difendere insieme la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi.
Quello sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio sapranno cantare con significati nuovi: paese mio, di te, dolce terra di libertà, di te io canto; terra dove morirono i miei padri, terra orgoglio del pellegrino, da ogni pendice di montagna risuoni la libertà; e se l’America vuole essere una grande nazione possa questo accadere. Risuoni quindi la libertà dalle poderose montagne dello stato di New York. 

Risuoni la libertà negli alti Allegheny della Pennsylvania. Risuoni la libertà dalle Montagne Rocciose del Colorado, imbiancate di neve. Risuoni la libertà dai dolci pendii della California. Ma non soltanto. Risuoni la libertà dalla Stone Mountain della Georgia. Risuoni la libertà dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Risuoni la libertà da ogni monte e monticello del Mississippi. Da ogni pendice risuoni la libertà. E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio inno: “Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”».

Articolo tratto da “Myes – My English School Magazine”

 

 3,755 Visite totali

Condividi: