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Asteriscoduepuntozero vi propone il celebre discorso di insediamento alla presidenza degli Stati Uniti d’America pronunciato da John Fitzgerald Kennedy il 20 gennaio 1961. Un discorso alto e impegnato, seppure insolitamente breve per le nostre abitudini di europei.
Le parole di Kennedy – assassinato solo due anni più tardi a Dallas per mano, così dice la verità ufficiale, di Lee Harvey Oswald. Dietro cui, sostengono invece molte voci dissonanti, ci sarebbero stati insieme o distinti e in ordine sparso a) esuli cubani anticastristi; b) boss del crimine organizzato; c) membri dei servizi segreti; e d) istituzioni del sud degli Usa – sono ritenute doppiamente importanti, in quanto manifesto di una nuova epoca (e probabilmente di una nuova classe politica) e in quanto destinate ad “aprire i cuori alla democrazia”. In effetti emergono i continui e netti richiami ad un impegno indefesso a difesa dei valori della democrazia e della libertà, della giustizia e dei diritti fondamentali delle minoranze, dell’intrapresa commerciale ed artistica, della pace in ogni angolo del mondo. Una battaglia in cui, come asserisce esplicitamente Kennedy, tutto il mondo libero è già implicato e che richiede tuttavia la partecipazione di tutte le nazioni.
Nel suo discorso, però, Kennedy dice anche altro. E questo altro rivela, in qualche modo, anche un’altra faccia, non meno importante, anzi tutt’altro che secondaria del nuovo presidente e della missione che intende portare avanti dalla Casa Bianca. Questo altro, in sintesi, ha a che vedere con: 1) l’ossessione anticomunista della società americana, del suo nuovo leader e, più in generale, dell’intero Occidente; 2) il concetto di un’America che vuole essere la guida, civile ed economica, del cosiddetto mondo libero, in quanto espressione del popolo eletto da Dio e da lui investito della responsabilità di illuminare il mondo; e 3) la sostanziale ambiguità, culturale e psicologica, nei riguardi di un tema vitale quale la visione individualistica dell’essere umano, a proposito del quale perfino il più famoso e citato passaggio del discorso (“…And so, my fellow Americans, ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country…”) si presta a differenti interpretazioni

a.f.

 

Vice presidente Johnson,

Signor Presidente della Corte Suprema,

Presidente Eisenhower,

Vice Presidente Nixon,

Presidente Truman,

reverendo Clero,

concittadini:

Quella a cui assistiamo oggi non è la vittoria di un partito ma la celebrazione della libertà, che simboleggia al tempo stesso una fine e un inizio, e che significa rinnovamento e cambiamento. Perché ho pronunciato davanti a voi e davanti a Dio Onnipotente lo stesso giuramento solenne prescritto dai nostri padri poco meno di due secoli fa.
Oggi il mondo è molto diverso. L’uomo detiene nelle proprie mani mortali il potere di abolire tutte le forme di povertà umana ma anche quello di sopprimere tutte le forme di vita umana. Eppure le stesse convinzioni rivoluzionarie per le quali hanno lottato i nostri padri, vale a dire la convinzione che i diritti dell’uomo non provengono dalla generosità dello Stato ma dalla mano di Dio, sono ancora in discussione in tutto il mondo.
Non dobbiamo dimenticare che siamo gli eredi di quella prima rivoluzione. Lasciatemi dire qui e ora, agli amici come ai nemici, che la fiaccola è stata consegnata a una nuova generazione di americani, nata in questo secolo, temprata dalla guerra, disciplinata da una pace dura e amara, orgogliosa della nostra antica eredità, che non vuole permettere la lenta distruzione di quei diritti umani verso i quali questa nazione è da sempre impegnata e verso i quali oggi siamo impegnati in patria e nel mondo.
Che ogni nazione sappia, sia che ci auguri il bene, sia che ci auguri il male, che pagheremo qualsiasi prezzo, sopporteremo qualunque peso, affronteremo ogni difficoltà, aiuteremo qualsiasi amico, affronteremo qualunque nemico pur di assicurare la sopravvivenza e il successo della libertà.

Ci impegniamo a fare tutto questo e molto di più.
Verso i vecchi alleati, con i quali condividiamo le origini culturali e spirituali, ci impegniamo con la lealtà di amici fedeli. Uniti, in un clima di accordo e cooperazione sono poche le cose che non possiamo fare. Divisi, sono poche le cose che possiamo fare, perché non oseremmo lanciare una sfida potente alle avversità e crolleremmo rovinosamente in pezzi.
Ai nuovi Stati ai quali diamo il benvenuto nel novero dei paesi liberi, diamo la nostra parola che non abbiamo posto termine a un controllo coloniale solo perché venisse rimpiazzato da una tirannia ancora più dura. Non ci aspetteremo sempre che appoggino il nostro punto di vista. Ma speriamo di vederli sostenere sempre la loro stessa libertà e che ricordino che, in passato, coloro che cercavano stupidamente il potere cavalcando la tigre, hanno finito per esserne divorati.
Alle persone che nelle capanne e nei villaggi di mezzo mondo lottano per spezzare le catene di una miseria diffusa, promettiamo il nostro massimo sforzo per aiutarli a provvedere a se stessi, non perché i comunisti facciano altrettanto, non perché vogliamo il loro voto, ma perché è giusto. Una società libera che non è in grado di aiutare i molti che sono poveri non riuscirà mai a salvare i pochi che sono ricchi.
Alle repubbliche sorelle a sud dei nostri confini facciamo una promessa speciale, quella di trasformare le nostre parole in buone azioni, in una nuova alleanza per il progresso, di aiutare gli uomini liberi e i governi liberi a spezzare le catene della povertà. Ma questa pacifica rivoluzione della speranza non può diventare preda di potenze ostili. Che tutti i nostri vicini sappiano che ci uniremo a loro nell’opporci all’aggressione o alla sovversione in qualsiasi parte dell’America e che ogni altra potenza sappia che questo emisfero intende rimanere padrone del proprio destino.
All’assemblea di stati sovrani che costituisce le Nazioni Unite, nostra ultima grande speranza in un’era in cui gli strumenti di guerra hanno di gran lunga e rapidamente oltrepassato gli strumenti di pace, rinnoviamo il nostro impegno e il nostro appoggio a impedire che divenga unicamente una tribuna per aspre polemiche, a rafforzarla come scudo dei paesi nuovi e dei paesi deboli e ad ampliare l’area in cui la sua parola può avere valore di legge.
Infine, a quelle nazioni che potrebbero divenire nostre avversarie, offriamo non un impegno, bensì una richiesta: che entrambe le parti inizino ex novo la ricerca della pace, prima che le potenze tenebrose della distruzione scatenate dalla scienza causino l’autoannientamento, deliberato o accidentale, di tutta l’umanità.
Non dobbiamo tentarle con la nostra debolezza, perché solo quando le nostre armi saranno sufficienti potremo essere assolutamente sicuri di non doverle mai impiegare.

Ma due grandi e potenti raggruppamenti di nazioni non possono neppure accontentarsi della situazione attuale, oberati come sono entrambi dal costo delle armi moderne, entrambi giustamente allarmati dal costante diffondersi del mortale potere dell’atomo, eppure entrambi impegnati a competere per modificare quel precario equilibrio del terrore che argina lo scatenarsi dell’ultima guerra dell’umanità.
Ricominciamo, dunque, ricordando da entrambe le parti che un comportamento civile non è segno di debolezza e che la sincerità deve sempre essere provata dai fatti. Non dobbiamo mai negoziare per timore, ma non dobbiamo mai aver timore di negoziare.
Che entrambe le parti esplorino i problemi che le uniscono, anziché dibattere quelli che le dividono.
Che entrambe le parti, per la prima volta, formulino proposte serie e precise per l’ispezione e il controllo degli armamenti e pongano il potere assoluto di distruggere altre nazioni sotto il controllo assoluto di tutte le nazioni.
Che entrambe le parti cerchino di evocare i prodigi della scienza anziché i suoi orrori. Esploriamo insieme le stelle, conquistiamo insieme i deserti, debelliamo le malattie, scrutiamo le profondità degli oceani e incoraggiamo le arti e i commerci.
Che entrambe le parti si uniscano per porre in atto in ogni angolo della terra il comando di Isaia: «sciogliere i legami del giogo…. e rimandare liberi gli oppressi».
E se una testa di ponte di collaborazione potrà far arretrare la giungla del sospetto, che entrambe le parti si uniscano in una nuova impresa: nel creare non un nuovo equilibrio di potenza, bensì un nuovo mondo basato sul diritto, in cui i forti siano giusti, i deboli sicuri, e la pace sia preservata.
Tutto ciò non potrà essere portato a termine nei primi cento giorni, né nei primi mille, né nel corso di questa amministrazione, e nemmeno forse nel corso della nostra esistenza su questo pianeta. Tuttavia, mettiamoci all’opera.

Nelle vostre mani, miei concittadini, più che nelle mie, sarà posto il successo finale o il fallimento della nostra opera. Da quando questo paese è stato fondato, ogni generazione di americani è stata chiamata a dare testimonianza della propria lealtà nazionale. Le tombe dei giovani americani che hanno risposto alla chiamata a servire il paese sono sparse per il mondo.
Ora la campana ci chiama ancora una volta, non per portare le armi, anche se ne abbiamo bisogno, non per una battaglia, sebbene siamo già in battaglia, ma per portare il peso di una lunga e oscura lotta, anno dopo anno, “rallegrandoci nella speranza, pazienti nella tribolazione”, una lotta contro i nemici comuni dell’uomo: la tirannia, la povertà, le malattie e la stessa guerra.
Possiamo dar vita a una grande alleanza globale, Nord e Sud, Est e Ovest contro questi nemici, in modo da poter assicurare una vita più fruttuosa a tutta l’umanità? Vi unirete a questo sforzo storico?
Nella lunga storia del mondo, solo a poche generazioni è stato garantito il ruolo di difendere la libertà nell’ora del massimo pericolo. Non mi sottraggo a questa responsabilità, anzi, le do il benvenuto. Non credo che qualcuno di noi cambierebbe il suo posto con un altro popolo o con un’altra generazione. L’energia, la fede, la dedizione che porteremo in questo sforzo illuminerà il nostro paese e chi lo serve, e la luce di questo fuoco può davvero illuminare il mondo.
Dunque, miei concittadini americani, non chiedete cosa il vostro paese può fare per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese.
Concittadini del mondo, non chiedete cosa l’America può fare per voi, ma cosa possiamo fare, insieme, per la libertà dell’uomo.
Infine, che siate cittadini americani o cittadini del mondo, chiedete a noi gli stessi livelli elevati di forza e di sacrificio che noi chiediamo a voi. Con la coscienza pulita come unico premio, con la storia come giudice finale dei nostri atti, continuiamo a guidare la terra che amiamo, chiedendo a Dio la sua benedizione e il suo aiuto, ma consapevoli che qui sulla Terra il progetto di Dio deve essere anche il nostro.

Campidoglio, Stati Uniti
Washington D.C.
20 gennaio 1961

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