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L’Europa del XXI equipara Stalin a Hitler, il comunismo al nazismo. E lo fa tramite una risoluzione sottoscritta in questi giorni dal suo Parlamento. In essa, per la cronaca, trova uno spazio modestissimo il fascismo, nella vulgata che si autoproclama scienza oramai declassato a fenomeno buffonesco e goliardico, del tipo “ma erano ragazzi”. Con tanti saluti alle leggi razziali, alle deportazioni, alle persecuzioni contro qualsiasi forma di opposizione, all’entrata in guerra e alle migliaia di innocenti mandati a morire sui fronti. Ma tant’è. Nel documento in questione il Parlamento di Strasburgo riscrive, a modo suo, la Storia ponendo sullo stesso piano le due dittature tanto da addebitare, nello specifico al punto B, lo scoppio della II Guerra mondiale non già all’espansionismo nazista – come asserito dalle conclusioni tratte dal tribunale di Norimberga e dalla dottrina storiografica – bensì alla firma del patto Molotov-von Ribbentrop. Attribuzione singolare, giacché quell’atto fu certamente scellerato, costituì senza dubbio il frutto avvelenato della reciproca diffidenza e dell’accesa rivalità politica, ma altrettanto certamente da solo non spiega alcunché, specie se estrapolato dal contesto generale e se al contempo ci si dimentica, per dire, della sostanziale inanità dell’intera Europa di fronte all’invasione della Polonia e a quelle che ad essa seguirono nel giro di pochi mesi. Dato il momento storico, questa dell’attuale Europa appare più una scelta strumentale ed “ignorante” che un tentativo serio di ripristinare, caso mai ce ne fosse stato il bisogno, quantomeno una parvenza di “verità storica”. Senza tralasciare il fatto che, patto o non patto, l’Unione Sovietica avrebbe poi subito l’invasione nazista e pagato alla follia hitleriana un prezzo altissimo in termini di vite umane e di distruzioni. E che, senza tali sacrifici (circa 20 milioni di vittime), ossia senza la resistenza di tutto il Paese e il contrattacco dell’esercito sovietico, oggi non avremmo un’Europa libera dal nazismo, anzi non ne avremmo una libera tout court. Non sarebbe affatto inutile ricordarsene, di tanto in tanto…

Poi, beninteso, non ci possono essere dubbi sulla natura criminale del regime staliniano, il che però non smentisce una sua peculiarità, una sua specifica essenza che lo differenzia (nella complessa banalità del male) dal nazismo. Per dirla in breve: il comunismo reale ha trasceso i principi del marxismo finendo con l’esercitare il suo crudele e sanguinoso potere per la perpetuazione di se stesso – quindi, a suo modo, fu la nefasta (e ingiustificabile) degenerazione di una teoria scientifica rivoluzionaria e paradossalmente del tutto sorda alla sua missione trasformatrice, in cui l’antisemitismo giocò un ruolo tragicamente rilevante ma non fondamentale –, là dove il nazismo è stato invece una consapevole pianificazione di un massacro su base razziale (v. anche alle voci: igiene razziale e “soluzione finale”) con presupposti pseudoculturali totalmente deliranti (la superiorità della razza ariana).

Questa volta di “Opinioni di un clown”, tuttavia, interviene non solo (e non tanto) nel pur discutibile merito di quel documento politico – di per sé alquanto risibile sul piano scientifico, cosa comprensibile quando i politici la fanno fuori dal vasino – ma anche su come la televisione di Stato italiana ha somministrato, pardon commentato la notizia. Il delicato compito è toccato a Rai Due, una delle tre “verità” in cui la politica ha spezzettato il servizio pubblico, nel corso di un programma (uno speciale, e in effetti…) in cui, dopo un servizio basato sul poco e sul vago, sono apparsi in studio un giornalista de “La verità” (scuderia di Maurizio Belpietro…) e una coppia di storici “rovescisti” assemblata in modo da sostenere una tesi di fondo ben al di là del più spinto “revisionismo” conosciuto: nazismo e comunismo sono la stessa cosa, il fascismo è stato sì una dittatura ma non tanto feroce come gli altri due, come un’amatriciana rispetto al goulash.
Sic docti historiae dixerunt.

Ne è ovviamente scaturito un plauso entusiastico alla nuove tesi europee e un’unanime, sentita condanna del comunismo reo per giunta di aver goduto di un cinquantennale trattamento di favore da parte dell’intellighentsia e della storiografia ufficiale*. Silenzio su tutto ciò che sappiamo sullo stalinismo e sui gulag (dov’erano, allora, gli storici asserviti al comunismo?). Silenzio sulla profonda pregiudiziale anticomunista su cui si è saldamente (con-)formata, con il beneplacito e i soldi degli Usa (contestualmente impegnati a esportare la democrazia in Cile, Argentina, Bolivia, Brasile ecc., dopo aver favorito per anni la fuga di parecchi gerarchi e criminali di guerra), l’Europa liberale e democratica per quarant’anni, come pure sugli innumerevoli e articolati contributi sociologici allo studio delle dittature, dai quali emerge (ma nello studio di Rai Due lo ignoravano) che il fascismo, sul piano culturale, costituisce un fenomeno geograficamente e temporalmente trasversale nella storia dei sistemi sociali umani, che precede e anzi ispira e comprende dentro di sé qualunque ideologia antidemocratica, nazismo in testa. In Sociologia non si parla di “nazismi” ma di “fascismi”. Altro che goliardia. E almeno su questo non dovrebbe esserci trippa per politici che fanno gli storici e storici nelle vesti di politici.
A meno di non volerci giocare il nazismo e il comunismo a testa o croce…

Tesjak

 

*In tema di verità storiche e di coperture ideologiche, nel cinico computo delle vittime di nazismo e comunismo – giochino vieto ma sempre caro a molti – vale la pena di ricordare alcuni dati. Lo scrittore dissidente Aleksandr Isaevic Solzhenytsin parlò di 110 milioni di vittime dello stalinismo, un dato che, confrontato con quello della popolazione ufficiale dell’Urss (170 milioni di persone) a cavallo tra anni ’30 e ’40, appare un tantinello contraddittorio se non storicamente poco credibile. Quando si dice l’onestà intellettuale dei pochi coraggiosi contrapposta alle menzogne dei tanti… Roy Medvedev parla, più modestamente, di circa 9 milioni di morti. I dati storicamente più accreditati e sostenibili indicano in circa 20 milioni l’orribile numero di vittime dello stalinismo. Le nuove frontiere della storiografia “onesta” calcolano, invece, in 100 milioni le vittime complessive del comunismo nel mondo, considerando anche i morti in Africa e Sud e Centro America. Strano che la stessa accurata somma non venga fatta per le vittime del fascismo in quegli stessi continenti. Forse perché, come per Mussolini, anche per Pinochet e Videla si può dire – senza ridere – che fossero dei semplici “ragassuoli” un po’ agitati e fracassoni ma tutto sommato non troppo cattivi…

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