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«Cos’era Tutto il calcio
«L’Italia, semplicemente (…) Le domeniche della brava gente».
Parole di Ezio Luzzi, ottantaseienne di origini argentine (“Paisà”, lo apostrofava con affetto Maradona), uno degli inventori della fortunata trasmissione radiofonica e di un certo modo di fare radio, letteratura, sociologia. Quanta nostalgia per l’Italia raccontata dalle voci di bravi giornalisti, attraverso lo sport, attraverso un calcio che non c’è più, avventuroso, divertente, appassionato. Sprovvisto di statistiche, di falso entusiasmo e di brutti neologismi (tra sciabolate, ripartenze e densità negli spazi…), però attento ai suoi interpreti, alle sue emozioni, all’ambiente e ai colori. Di quella radio, nata alle ore 15:15 del 10 gennaio di sessant’anni fa, e di quel calcio, Enrico Ameri e Sandro Ciotti furono certamente i massimi cantori, i prescelti per acclamazione popolare. Così diversi tra loro – l’uno semplice ed emozionante, persino le volte in cui veniva interrotto da qualche collega sopra le righe, l’altro di raffinata ricercatezza e dall’inconfondibile voce che assomigliava tanto ad un contrappunto jazz. Di quella certa radio restano, fra le altre cose, le infinite nostalgie per un Paese che, tra i tanti difetti atavici, aveva però il pregio di saper guardare avanti, di sperare con ingenuo, tenero coraggio. E se non mancava, come era, il tempo per le consuete polemiche per un rigore negato, un’espulsione inventata o la lieve ingiuria di una larvata sudditanza psicologica, bastava la voce di un altro inviato a rassicurare la brava gente in ascolto, a riportare il calcio alla sua dimensione sportiva domenicale, alla sua relatività. Così, per un cuore infranto da sfortune e contrattempi, ce n’erano mille trepidi d’attesa su cui rimbalzavano gli echi gracchianti per annunciare la lieta novella, la gioia di un gol da chissà quale altro campo…
Era un’Italia che, nella strenua e a volte folle trama di passioni per ventidue ragazzi “che si calciano la vita / fissi dietro a un unico pallone”, sapeva bene o male trovarsi. Che nel racconto radiofonico conservava dignità e poesia. Di certo non era perfetta. Ma diversa, questo sì. Meno rabbiosa, meno frenetica, più umana e fiduciosa di quanto sia oggi. Accidenti che tempi, e che radio, ragazzi!!…

(a.f.)

 

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