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… A sentire i media e il caravanserraglio di esperti e opinionisti che vi compaiono chiamati a sostenerne l’audience, parrebbe che commercianti e imprenditori siano quasi le sole categorie messe in ginocchio dalla pandemia e dalle regole richieste per fronteggiarla. Non c’è trasmissione, spazio o altare da cui non provengano i resoconti del disastro economico in cui verserebbero dopo quasi tre mesi di serrata, totale o parziale. Rarefatti sono invece i riferimenti a ragazzi ed anziani, i primi assillati da una scuola inadeguata e talvolta poco sostenuti da famiglie distratte, i secondi spesso soli di fronte a restrizioni e disagi materiali e psicologici. Voci sparute sulle libere professioni, che in fatto di tasse non mancano di nulla. Silenzio assoluto su operai e artigiani. Sempre invisibili le migliaia di senzatetto. I migranti, che tuttavia continuano a sbarcare sulle nostre coste, ora non rappresentano più un’orda di invasori di terre, delinquenti e molestatori di donne, ma un’idea che tornerà buona una di queste volte…
Come nella fattoria di Orwell, in definitiva, noi animali siamo tutti uguali ma qualcuno è più uguale degli altri: e qualcun altro meno dei meno.
Si sente praticamente parlare solo di aiuti alle imprese (anche a quelle delocalizzate e con residenze fiscali oltralpe, non è il caso di fare i difficili…) e di facilitazioni ai commercianti, di nuove aliquote (o iniquote, tipo Flat Tax), di trasferimenti finanziari, di semplificazioni (o di vera e propria manica larga) nella applicazione delle norme anti Sars-CoV 2. Orari più liberi, soldi e agevolazioni. Non c’è altro che importi. Proprio in questi giorni, invece, con sommo scorno delle categorie coinvolte e indignazione di giornalisti e critici, molti sindaci hanno emanato regole ancora restrittive e altrettanti presidenti di regione hanno fatto (o minacciato di fare) marcia indietro sulla strada del progressivo allentamento della chiusura. In realtà, il relativo stop del regime restrittivo consegue alle bravate capitate in varie città italiane, con le rispettive movide intente ad ammassarsi allegramente in ogni piazza e di fronte ad ogni locale disponibili. Tutto ciò a dispetto della situazione, dei rischi di una recrudescenza del virus di cui tutti siamo stati avvertiti e, last but not least, del trascurabile particolare che il decreto governativo di febbraio fissa al 31 luglio la data di scadenza delle misure eccezionali di contenimento della pandemia. Ovunque, invece di rimarcare l’irresponsabilità di tali comportamenti, e il silenzio inquietante delle famiglie, si è piuttosto gridato alla brutale repressione della giovinezza, allo scandalo per il ripristino della situazione in statu quo ante, all’ulteriore colpo letale inferto all’economia del Paese (ossia alle tasche dei soliti rumorosi, poiché degli altri, di quelli come i lavoratori dello spettacolo abituati a trasformare le briciole in pernici, non ci si dà soverchio pensiero…) o alle ferite inflitte alle libertà costituzionali, anche se ancora non si capisce bene quale libertà sia andare in giro ad infettare il prossimo. Comportamento che sembra piuttosto un reato.
Eppure, a parte le ovvie considerazioni su una utile pedagogia per ragazzi confusi, con un pizzico di cautela e di buon senso in più, il raziocinio consiglierebbe il rispetto delle norme proprio per meglio aiutare le attività finalmente riaperte. Con comportamenti responsabili, in luogo di schiamazzi e assembramenti meta-rivoluzionari, infatti, è già possibile entrare in fabbrica, a lavorare, o in un locale, dove consumare e trascorrere un paio d’ore in serenità e allegria. Forse è vero che questo dispendio di pazienza e di civiltà, nozioni evidentemente non più insegnate da famiglie e scuola, non è ancora del tutto sufficiente a risollevare quelle attività, ma è altrettanto vero che un nuovo inizio lento (ma ovviamente destinato ad accelerare) è pur sempre meglio di uno zero virgola zero…
In Italia o si è pecore o si è leoni. Cento giorni a uno. Parafrasando il grande Massimo Troisi, non sarebbe preferibile vivere cinquanta giorni (almeno) da orsacchiotto?…

 (a.f.)

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