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Storia di un bovino internazionalista
ed irrimediabilmente euroscettico…

Non Trump, con i suoi dazi. Non i populisti associati, con le loro messe di voti. Non l’euro, con le critiche che si porta appresso. No: non sono loro i veri nemici dell’Europa unita, i capipopolo della rivolta che può far crollare l’impalcatura dell’Unione. La comandante in capo delle forze ribelli, che ancora non ci sono ma prima o poi arriveranno come api al miele o – se si vuole – come mucche al pascolo, è un bovino. Si chiama Penka e non ha carta d’identità né nazionalità, anche se viveva in Bulgaria col suo amico Ivan Haralampyev, mezzo uomo mezzo allevatore e un’unghia zio Tobia. Il tempo del verbo al passato non è casuale: di buon mattino, con l’invidiabile noncuranza delle mucche che sulla loro strada non vogliono ostacoli, e quando ne trovano li travolgono se non riescono ad aggirarli, qualche giorno fa Penka s’è presentata al valico di frontiera di Oltomansi coda ciondolante, aria svagata, capo chino, passo lento.

La sbarra era aperta, poliziotti e doganieri si sono ben guardati dal fermarla (chi se ne va che male fa?) e lei se n’è andata a ruminare in Serbia, fidando sull’adagio per cui l’erba del vicino è sempre più verde. A sera, non vedendola tornare, chissà se per affetto o perché spinto dal calcolo economico di tornare in possesso di una mucca che comunque un suo valore lo ha sempre, il buon Ivan ha passato il valico pure lui ed è andato a riprenderla. Ma quando insieme si sono ripresentati alla frontiera, sono iniziati i guai: libero accesso per Ivan il bulgaro, ingresso negato a Penka, nel frattempo diventata immigrato irregolare. La poverina, nella foga di andare da una parte all’altra libera manco fosse una farfalla, s’era scordata che dall’Europa si può uscire, ma per entrarvi serve il visto. Nella circostanza, un documento per il transito del bestiame da un Paese all’altro. Anche se era passata sotto gli occhi dei gendarmi poche ore prima. Così Penka è entrata nel limbo, in un campo terra di nessuno, non più Serbia non ancora Bulgaria, come il Tom Hanks che rimane a svernare in un aeroporto perché per un bollo sul passaporto non lo vogliono né la sua patria d’origine né il mondo che si diceva libero.

Incredibilmente vero e comico, fino alla tragedia: perché Penka, oltre che vicenda di ordine pubblico, è diventata oggetto di contesa politica, con europarlamentari di ogni risma e colore a dettare note alle agenzie, tanto da rendere necessario l’intervento dei portavoce della Commissione Ue, a spargere camomilla e rassicurazioni sul destino dell’animale, semplicemente sottoposto – recitano i dispacci da Bruxelles – «a verifiche sul suo stato di salute». Come fosse un caso di Stato, non avendo altri casi a cui pensare.

Ad oggi Penka, la mucca che odiava i confini e credeva nell’armonia dei popoli e delle mandrie, è ancora nel suo lager di campagna, in attesa di sapere se potrà tornare dall’amato Ivan o se invece finirà in macelleria, insieme a quarti di Europa un po’ andata a male, lombi di politica da brodo e fettine di buon senso tagliato fresco.

Gianpaolo Iacobini

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