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Il vino calabrese? Lo si farà con l’uva padana.
Scherza oggi scherza domani, alla fine è arrivato il conto da pagare. Non che fossero mancate le avvisaglie e gli acconti, con le alluvioni sempre più frequenti e i morti sempre più copiosi, ma adesso il colpo è di quelli impossibili da parare. Anche a voler starsene chiusi in casa si scamperà forse al diluvio, ma non si riuscirà ad evitare l’irreparabile: un vino nordista. Che strazio, per una Calabria che oggi con le sue cantine più pregiate, sparse tra i colli di Cirò, la piana di Lamezia ed i monti del Pollino, tiene viva una secolare tradizione regalando nettare degli dei agli umani. Ma come una favola, potrebbe svanire. Non subito, comunque presto. E quel che è peggio, senza lieto fine.

Colpa del clima. Già negli ultimi trent’anni i vitigni sono andati spostandosi sulle cime di colli sempre più alti, per cercare nelle alture il refrigerio perso a valle con l’innalzamento delle temperature. Ma neppure quello è bastato, e in una sorta di migrazione vinifera ci si è gradualmente spostati anche di latitudine, mettendo radici sempre più a Nord. Ma non è tutto. Studi recenti indicano come nell’arco di mezzo secolo – il prossimo – le cose potrebbero cambiare ancora, naturalmente in peggio, seguendo le medesime direttrici: sempre più in alto, sempre più a Nord. E non è probabilmente un caso che già adesso l’Europa centro-orientale abbia aperto i propri confini alle viti, con il Regno Unito che dal 1988 ad oggi ha visto crescere del 148% le superfici di vigneti presenti nelle terre di Sua Maestà. Finirà che un giorno, al posto di un rosso del Pollino a base di Aglianico e Magliocco canino ci ritroveremo a sentir ribollire nei tini un Monastrell spagnolo o ad imbottigliare uno Xinomavro greco, figli di uve resistenti alle estati lunghe e calde? O ci trasformeremo in stregoni di laboratorio per cercare di rendere resilienti le piante, e colmare in provetta il profumo già adesso rubato dall’anticipo a Settembre della vendemmia, così privata delle escursioni termiche ottobrine, vettrici di fragranza?

Magari cambieremo palato, e ci adatteremo a più zucchero, molto alcol e concentrati di tannini, che sono poi i regali sgraditi del caldo, rassegnandoci a bevande dal gusto monocorde. Oppure, in un estremo atto di civico eroismo, sia pur incapaci di cambiare stili ed abitudini di vita e fermare i danni del cambiamento climatico, ci rimetteremo sulle tracce dei nostri trisavoli riscoprendo varietà autoctone di vitigni sopravvissute per millenni anche alle follie del meteo (e dell’uomo), prima d’essere abbandonate perché (sigh!) non in linea con gli standard produttivi in voga nel tempo del capitalismo vitivinicolo.
Chissà. Magari, quando tutto questo sarà accaduto, saremo già passati a miglior vita, forse salutando la vita con un bicchiere di vino (ancora) buono.

Gianpaolo Iacobini

 

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