Condividi:

Sì, lo confesso, anch’io ho aderito al minuto di silenzio proposto dall’Anci in memoria delle vittime del covid 19: per i civili, i medici, gli infermieri, gli addetti al soccorso delle popolazioni. Per chi è morto senza quasi una ragione e chi, invece, è morto per aiutare.
E sì, mi sono commosso deponendo, per sessanta secondi, l’armatura del bieco giornalista avvezzo a osservare e criticare, a impicciarsi di fatti non suoi, ad annotare ciò che vede. Può darsi che, come in quella vecchia canzone di Edoardo Bennato, sia “stata la scuola” o forse “un colpo di mano”. Ma siccome “io venivo di là” e la città è così bella e struggente…
Forse, invece, il mio cedimento di fronte al lutto è stato frutto di un’inattesa, infantile, quasi incorrotta capacità di emozionarmi, di immedesimarmi in un destino collettivo, di essere parte di un tutto (o di un tanto), di sentirmi unità di una moltitudine, frazione di un popolo, di una nazione. Come è stato per tantissimi altri italiani, e italiani “altri”. Almeno, così immagino.
“Io venivo di là”, cioè dalla triste conta dei morti e dei positivi, delle difficoltà per reperire le indispensabili mascherine, per schivare la paura di tanta gente presa da fantasmi veri o presunti.
In un certo senso sono persuaso che, nella diffusa adesione a quel gesto simbolico registrata dalle mie parti, c’entri parecchio, una sorta di reazione psicologica all’esibizione televisiva di pochi giorni addietro di tal Domenico Pallaria, sconosciuto ai più e ad Apollo sollecito.
Questo signore non è l’ultimo fuoriclasse del pallone importato dall’Argentina o dall’Uruguay. No, malgrado l’allusivo cognome, è in realtà il responsabile della Protezione Civile calabrese, scelto per essere a capo delle unità di intervento contro il Coronavirus. E, a essere proprio sinceri, se fosse stato un “asso” sudamericano del pallone, in tv sarebbe apparso più simile a un Claudio Daniel Borghi, passione non ricambiata del Berlusconi, o a un Jorge Caraballo, acclamato “nuovo Schiaffino” che finì col fare il tassista, piuttosto che ad un Lautaro, un Icardi o un Messi. Siccome, però, costui occupa la poltrona più importante di uno dei settori nevralgici nella mia improvvida regione, ed è perdippiù responsabile di una marea di altri settori essenziali (trasporti, infrastrutture, rifiuti, mobilità), nella sua sortita mediatica è apparso, più semplicemente ma anche più gravemente, come una specie di pesce fuor d’acqua, uno del tutto fuori posto e fuori tempo (massimo).
Nel contesto del rigoroso e impietoso giornalismo di Report, interrogato sui suoi compiti il signor Pallaria ha saputo farfugliare qualche parola in uno stentato italiano, imbarazzando tutti i calabresi dignitosi per la sua goffa ricerca di imbastire una qualche ilare trama con un vicino di sedia e finendo, invece, con l’ammettere l’evidenza: la sua letterale ignoranza (“se lei me lo chiede, io non so cosa sia un respiratore”) in materia di sanità, di calamità mediche e di tutti i seri, serissimi annessi e connessi.
Lasciato in braghe di tela, nella sua poca provvedutezza, perfino dal presidente regionale che l’ha nominato per le pesanti incombenze, quella Jole Santelli che, richiesta di un parere (di certo informato) sull’intera vicenda ha saputo opporre  un desolante “ma chi dovevo nominare?”, con l’espressione di chi volesse sottintendere (così è parso a molti) un rassegnato “questo è quel che passa il convento”… Convento che a quanto pare, non consegna grandi personalità al presente e al futuro della Calabria, che oggi come non mai avrebbe bisogno di dialogare con i responsabili sanitari nazionali, quanto meno nell’accezione elementare di recepirne le istanze e accoglierne le indicazioni.


Ad occhio e croce, siamo di fronte ad una vicenda che – senza troppi margini per la fantasia – potrebbe intitolarsi “guarda in che mani siam messi” e che – e qui sì, che si galoppa con l’immaginazione – potrebbe rappresentare un’opportunità da cogliere e da cui ripartire per una nuova e più fresca impostazione della questione meridionale (dentro cui di solito la Calabria si crogiola assai volentieri). Un dibattito vero, finalmente, non più all’insegna della retorica e della storia-bricolage di un Nord spietato e predone ai danni di un Sud ingenuo ma generoso – sintesi affascinante, non priva di qualche elemento di verità, siamo d’accordo, ma anche molto conveniente e, come detto, alquanto autocondiscendente –, quanto piuttosto della consapevolezza di un Meridione che sin dal 1861, salvo ammirevoli eccezioni, produce nulla più dei residui di un barile raschiato ben oltre il fondo. Per colpa dei calabresi, prima di tutto e di tutti.
Al cospetto del signor Pallaria e della signora Santelli, e dell’operato di parecchi altri loro predecessori, un minuto di silenzio – e la piccola, piccolissima concessione ad un gesto di pietà, quale voleva essere quel breve intervallo – rappresenta pure una chiara spiegazione della esasperazione, dello scorno e della disperazione che sconvolgono i pochi o molti che continuano da anni a raccontare un’altra Italia, un altro Meridione, un’altra Calabria. Realtà lontanissime dalle oleografie da convegno, dalle dichiarazioni drogate di chi possiede soldi e potere, dalle farneticazioni di troppi amanti spergiuri e di acclarati e famelici intellettuali.
Chi salverà la Calabria?…

 

a.f.

 

 5,944 Visite totali

Condividi: