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… Ho fatto quello che forse tutti ci siamo trovati a fare in questo periodo; costretti a scegliere da che parte stare, con chi schierarsi … come se il male avesse una qualche giustificazione profonda. Costretti a “fare i conti” sempre con qualcosa; con la paura, con l’incapacità di comprendere dove si andrà a finire o come finirà. Perché alla fine tutto ha una fine, ma quella fine può essere spaventosa ed io ai “lieto fine” non ho mai creduto abbastanza.
E così nel tempo in cui un giorno ti svegli e ti ritrovi in quel cuscinetto di terra tra due guerre, mi sono fermata e ho analizzato di cosa siano fatte le nostre giornate.
Sono fatte di routine, perché non siamo solo animali abitudinari, siamo anche incapaci di rompere gli schemi, un po’ per responsabilità un po’ per vigliaccheria. Preferiamo lasciar correre, anziché correre verso un obiettivo, o abbracciare un ideale, o dire la nostra anche se agli occhi (e alle orecchie) di molti le nostre parole suoneranno come scomode, stonate, sbagliate.
Ma non è sbagliato ciò che è ragionato e sentito.
Non è sbagliato stare dalla parte del cuore, o delle ragioni di esso.
Quando si dice “fare le cose a sentimento”, alla fine significa lasciare che la ragione pesi di meno rispetto a ciò che sentiamo e che ci rende scevri da ogni costrizione.

In questo periodo le giornate di molti di noi si dividono tra il lavoro, la famiglia e le rinunce. Perché di questi tempi in cui tutto costa troppo, ci si priva di tante cose, soprattutto di quello che apparentemente può sembrare superfluo; perché il cinema non è necessario, perché un caffè in più al bar non è necessario ed anche il cappotto nuovo non lo è. Eppure malgrado sia maledettamente vero che il carrello della spesa è sempre più vuoto e sempre più caro, malgrado la benzina alle stelle, i costi assurdi di alcune cose che prima avevano un prezzo normale, una passione come può essere il cinema alla fine può salvarci; salvarci dal buio dell’incertezza, costante, asfissiante, torbida, che spesso toglie il fiato.
In questo periodo le giornate iniziano con frasi tipo “vorrei ma non posso, non posso ma devo”, accompagnate dalla speranza che non ci siano troppi imprevisti perché anche se ci siamo allenati abbastanza, abbiamo finito le forze e pure le idee. Perché per “risolvere” bisogna avere un margine di azione, ed anche di spregiudicatezza. Io penso di aver smarrito anche quella; e non saprei neanche dove cercarla.
In bilico, fino a sera, quando in questo periodo le giornate si concludono con la necessità di “contare i danni”, non solo nostri, ma anche quelli del mondo, perché sembrerà assurdo, ma le sorti del mondo, in parte dipendono dalle scelte fatte (o non fatte) di ognuno di noi. Perché spesso si resta a guardare, cercando di giustificare questo o quello, cercando ragioni dove non vi è nulla di ragionevole.

E allora tra il dolore e lo sconforto per quello che accade poco distanti da noi, mentre restiamo in quel cuscinetto di mondo tra due guerre, mentre cerchiamo di capire se tutto questo finirà e quando, mentre proviamo a schierarci con il bene (perché il bene da qualche parte deve pur nascondersi) e mentre piangiamo le vite di innocenti che pagano con il proprio sangue una guerra voluta da altri, perché qualcuno ha deciso che il valore della vita non è uguale per tutti (che cosa atroce e ingiusta e assurda), mettiamo in tavola cene sobrie, cerchiamo parole sobrie nei nostri discorsi; sobrio … come quella vita che in questo momento sembra essere l’unica adeguata a questo dolore che sentiamo e che ogni giorno si acuisce, come se qualcuno dall’alto avesse deciso di metterci alla prova, come se alla fine si vincesse un premio.
Ed io che non vinco quasi mai, vorrei arrivare ultima, mentre il mondo piano si resetta, mentre le menti si illuminano, sperando che la forma dell’odio si possa consumare come una candela che profuma di buono e perché no, di eternità…

Simona Stammelluti

Ivano Fossati, “C’è tempo.”

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