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Celebrare i trionfi di Saverio La Ruina è cosa poco utile, se poi a fare da cerimoniere è un insegnante di provincia, la festa rischia addirittura di diventare ridicola. I tempi complicati in cui viviamo impongono prudenza: il facile gioco dell’apparire rischia di vanificare il complicato costruire identitario che ha regalato a Saverio ben tre Premi Ubu per le sue drammaturgie. Qualora vogliate scoprire qualcosa di Saverio La Ruina e del suo minimalismo narrativo, potete certamente cercare in libreria la più bella monografia dedicata a lui, scritta dalla professoressa Angela Albanese (Università degli studi di Modena e Reggio Emilia) e pubblicata da Quodlibet. In Identità sotto chiave, lingua e stile nel teatro di Saverio La Ruina, titolo che fa eco a Dolore sotto Chiave di Eduardo De Filippo, Angela Albanese analizza in modo puntuale i testi di Saverio, dopo la svolta monologante che va dal molteplice all’essenziale.

Foto di Angelo Maggio

Le capacità del sottoscritto, la natura di questo piccolo testo e l’intenzione di oggi non hanno nulla a che spartire con la puntuale ricerca dell’amica Angela, né possono sperare di aggiungere riga ai “testi spezzati” di chi si confronta con la scrittura drammaturgica da oltre quarant’anni.

Mentre Saverio, che è persona dotata di ironia, si starà chiedendo come capitò ad un altro italiano celebrato a Los Angeles nel 1993 per il suo quarto Oscar, se sei Premi Ubu non siano troppi (due nel 2007 con Dissonorata come Migliore attore italiano e per il Migliore testo italiano, uno nel 2009 per il il festival Primavera dei Teatri, uno nel 2010 con La Borto per il Migliore testo, uno nel 2012 come Migliore attore italiano con Italianesi), io mi chiedo se non siano troppi per la nostra cittadina e per la mia povera terra.

 

Me lo chiedo perché continuo a vedere teatri che aprono le loro porte per le sole rappresentazioni (che in tante circostanze sono solo intrattenimento), me lo chiedo perché non sono bastati otto premi Ubu a Scena Verticale (ai sei elencati ne vanno aggiunti altri due vinti da Settimio Pisano e Dario De Luca) per meritarsi le chiavi di uno dei due teatri cittadini, me lo chiedo perché, come scrive Ernesto Orrico, Via del Popolo non è ancora arrivato nel capoluogo cosentino, me lo chiedo perché la prima foto di Saverio, scattata da Carlo Maradei per la prima locandina di Via del Popolo che debuttava a Milano, è stata scattata al Teatro della Chimera, la piccola meritoria sala di Fabio Pellicori.

 

Avere a disposizione un teatro in Calabria, anche solo per una foto, costa più fatica di vincere l’ennesimo Ubu.

Francesco Gallo

 

La foto di copertina è di Angelo Maggio

 

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