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… Ho qualcosa nel cuore.
Ho qualcosa a cuore: tralasciare il senso del Natale che ognuno vive a proprio modo da persona credente, agnostica o atea; vorrei con queste righe puntare l’attenzione su coloro che il Natale lo vivono con estrema difficoltà e questa cosa deve interessare tutti.
Le statistiche ogni anno fanno la loro parte e, percentuale in più o in meno, il dato che vien fuori è che crescono i poveri, cresce la povertà ma di pari passo anche (e per fortuna) il volontariato. E per questo vorrei far giungere il mio “Grazie” a tutte le associazioni che si occupano dei poveri ed anche dei detenuti.
C’è tanta gente che anche (e non solo) il giorno di Natale si reca alla mensa dei poveri. C’è anche chi ha bisogno ma non va per vergogna, per paura di essere riconosciuto, di essere ripreso da qualche telecamera di noi giornalisti che spesso diamo visibilità alla solidarietà in occasioni come questa, e che costantemente supplisce alla disattenzione dello Stato verso questo fenomeno.

Un Natale cristiano come dovrebbe essere?
Non dovrebbe forse racchiudere in sé il senso dell’accoglienza, della fratellanza? Non dovrebbe avere a cuore i più bisognosi?
Il consumismo, le tavole imbandite fino a scoppiare, lo spreco, il futile è – di conseguenza – l’anti-Natale.
Lungi da me criminalizzare moralisticamente i festeggiamenti – che sono anch’essi il simbolo di qualcosa che si compie e che dovrebbe portare gioia del cuore e che ogni cultura esprime a proprio modo – ma ritengo sia giusto condannare la deriva consumistica, che ha trasformato il senso del dono, in simbolo di ricchezza, in quella linea di demarcazione tra chi ha e chi non ha nulla, tra chi fa gara a come apparire e a chi è costretto a dimenticare chi è.
L’aspetto laico del Natale dovrebbe poter coincidere con quello religioso, poiché tutti dovrebbero poter gioire di una “salvezza” che è tale se è per tutti. Una uguaglianza spesso lasciata in soffitta, impolverata, dimenticata, ignorata. Neanche a Natale riusciamo a non girarci dall’altra parte.

C’è una povertà assoluta, che riguarda più di 5 milioni di persone in Italia.
Non sono solo persone che vivono per strada ma sono anche coloro che hanno enormi e concrete difficoltà con l’alimentazione. Scelgono cibi poco costosi e spesso malsani. Hanno difficoltà con la casa, perché vivono in ambienti umidi e senza riscaldamento; hanno difficoltà con la salute, perché sono povere e non possono curarsi. E poi sono sole. La povertà fa il paio con la solitudine, che non è una scelta ma una condizione imposta dallo stato delle cose. Sono persone che si rivolgono alla mensa dei poveri.
E allora se si vuole fare Natale dovremmo tutti dare una mano, ognuno per come può. E vi assicuro che ci sono innumerevoli modi per essere solidali.
E se è vero che c’è più gioia nel donare che nel ricevere allora dovremmo riuscire ad allungare una mano verso chi ha poco o nulla, e così essere felici. E non solo il giorno di Natale. E tra i bisogni da “curare” c’è senza dubbio anche quello delle persone sole.

Siamo tutti più soli, e non soltanto nel mondo degli anziani.
C’è chi ha perso il lavoro, chi sa di essere solo, chi la sente profondamente quella solitudine e che nel giorno di Natale la avverte ancora di più.
È un problema sociale, del quale si occupano le associazioni di carità che ogni giorno vivono la strada, perché è la strada che insegna, che mostra le difficoltà e induce anche a molte risposte. Perché la solitudine coincide non solo con la povertà ma anche con la perdita della dignità. Perché anche il lavoro povero, il lavoro precario, la necessità di dover ricorrere alla mensa dei poveri, è un segno evidente di chi ha perso la dignità.
E poi c’è la crisi della famiglia. Le separazioni costringono a dover pagare un doppio affitto e quando si resta soli, il lavoro da solo non basta.

La solitudine è sinonimo di povertà. È l’altra faccia di una medaglia che cade sempre dal lato sbagliato.
E se poi guardiamo a Lampedusa, all’hotspot, in un anno in cui ci sono stati 150 mila migranti sbarcati sulle nostre coste, tocca immaginare quanto a Natale alcune criticità diventino ancora più evidenti. La sofferenza e la solitudine diventano ancora più affilate. Vi sono difficoltà enormi; e l’andare incontro ai più vulnerabili soprattutto quando le condizioni sono disperate, fa la differenza. La maggior parte delle persone che arrivano sulle nostre coste sono sole, molti sono minorenni.
Immaginare la vita di questi piccoli e delle loro madri che li hanno affidati al mare affinché potessero avere un futuro dignitoso deve indurci a cambiare la modalità di concepire una festa.
Il Natale è un momento tragico per chi è solo.
E chi è solo vede un bilancio negativo circa le prospettive che lo riguardano.
Fermarsi a riflettere, provare a salvare anche solo una persona dalla solitudine e non solo dalla povertà, sarà scontato e banale, ma restituisce il senso di una festività nella quale la gioia possa essere per tutti.
Perché non può essere Natale se non lo è per tutti.
Ricordate lo spot: “a Natale puoi”?
Voglio pensare che ce la si possa fare.
Siamo ancora in tempo.
Buon Natale a tutti…

Simona Stammelluti

 

Gio Evan, “Regali fatti a mano”

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